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L’arte delle donne che vince l’orrore

5 Ottobre 2020
di Pia Marcolivio

Il titolo del libro di Katia Ricci “Lupini violetti dietro il filo spinato” è tratto da una lettera di Etty Hillesum scritta durante il suo internamento a Westerbork in cui esprime la capacità di cogliere la bellezza anche in condizioni estreme. Da Ravensbruck ci sono pervenuti fortunosamente disegni e poesie di donne che, nonostante le violenze e le privazioni a cui erano sottoposte, hanno mantenuto la loro umanità ricorrendo alla creatività e alle relazioni in una dimensione di trascendenza per riaffermare il primato della vita.
Le prigioniere, utilizzate come schiave nelle fabbriche di guerra, erano detenute per reati comuni, erano politiche di varia nazionalità che militavano in organizzazioni antifasciste, ebree, zingare, omosessuali. Al racconto del campo di concentramento l’autrice intreccia il racconto di un’altra violenza sulle donne e di altre forme di resilienza. Un viaggio dall’orrore alla creatività, dal vittimismo al senso di sé, dalla disperazione alla speranza di riuscire sempre a conservare e agire la propria umanità e la fedeltà a sé nel posto e nella vita in cui ci è dato di stare
Il testo è l’espressione di una visione ardita di come fare storia oggi, che mette all’opera ciò che insieme ad altre l’autrice ha praticato nel gruppo di Storia vivente di cui fa parte da alcuni anni.
Sulle prime può destare perplessità: così è accaduto a me, ma a una lettura liberata da schematismi e rigidità accademiche si rivela non solo ragionevole e giustificato nella sua enorme pretesa di accostare un’esperienza come quella concentrazionaria alla ordinarietà della vita di oggi, ma anche capace di suscitare desiderio di approfondimento.
Mi è capitato di leggere di recente le frasi di bambine di vari paesi del mondo che denunciano il regime di terrore strisciante con cui hanno a che fare nella loro quotidianità: Vai al pozzo a prendere l’acqua e puoi essere aggredita; Percorri la strada verso la scuola la mattina e puoi essere insultata; Porti il pane a chi lavora nei campi e puoi essere violentata. Anche questo tipo di piccole, silenziose minacce quotidiane che si assommano e sedimentano in ogni cellula della propria persona come gocce di veleno invisibili ma potenti, formano il sostrato che rende possibile una analogia con le strazianti torture subite dalle donne del campo di Ravensbruck.
Un pater familias dal cui umore dipende la serenità o l’infelicità dei congiunti ogni singolo giorno, un dispotico sovrano che determina che ci sia luce o ombra nella propria casa, influisce fortemente nella formazione dei figli e soprattutto delle figlie, specie se esse assistono al maltrattamento e alla infelicità della madre.
Il piccolo e il grande, la manifestazione infinitesima e quella macroscopica, i dettagli che formano l’insieme, le infinite abitudini e regole che fanno la legge, il singolo individuo che si poggia sulla consuetudine universale. Un gioco di specchi in cui ogni donna può riflettersi nelle altre, così come fanno gli uomini per loro conto, ma con perdite e guadagni differenti. Si tratta di quel “sentirsi Umanità femminile” di cui parla Alessandra Bocchetti che spinge Katia a “voler dare valore politico a quel mondo di donne … e farne una leva per fondare una società sulla base del desiderio, delle relazioni libere tra donne e uomini, dei rapporti d’amore e di amicizia fecondi solo nella libertà di essere fedeli a sé”.
L’associazione dunque non risulta più affatto peregrina: ciascuna donna in ogni parte del pianeta, se si sofferma a pensarci, sa di cosa stiamo parlando, anche prescindendo dalla propria esperienza personale magari più fortunata. Siamo impregnate di sentimenti, immagini e aspirazioni improntate sul modello dell’amore romantico per il quale siamo predisposte a sacrificare molta parte di noi se necessario, se richiesto, se si crea l’occasione. Solo in apparenza oggi non è più così: le giovani donne appaiono forti, salde, determinate a vivere secondo il proprio desiderio, e certamente le condizioni sono ben diverse dal passato, ma il tema dell’amore richiederebbe ancora riflessioni ampie e approfondite, lo confermano tante giovani donne che hanno difficoltà a trovare compagni che sappiano corrispondere alle loro aspettative di equità e di libera realizzazione di sé.
L’organizzazione del sistema patriarcale è una tela di ragno ben strutturata che sa concedere piccoli spazi di respiro fra una maglia e l’altra ma non permette di uscire dalla sua architettura già definita. Il mondo intero dovrebbe traboccare di ammirazione e stupore per la capacità mostrata dalle donne nelle situazioni più estreme di sopraffazione di saper usare quella tela/trappola per farne ghirlande e festoni per continuare a celebrare la bellezza della vita, conservando intatta la voglia di amare e di risorgere ogni volta dalle proprie ceneri.
Le donne del campo di Ravensbruck per tutto questo riescono “ad essere ancora oggi una luce, aldilà dell’orrore che la sola parola evoca”.”

LUPINI VIOLETTI DIETRO IL FILO SPINATO.
ARTISTE E POETE A RAVENSBRUCK,
ed. Luciana Tufani.

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