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Mirocritiche / Essere donne a Ryad

6 Settembre 2020
di Ghisi Grütter

LA CANDIDATA IDEALE – Film di Haifaa Al Mansour. Con Mila Al Hilalo, Khalid Abdulraheem, Dae Al Hilali, Shafi Alharthy, Nora Al Awadh, Arabia Saudita, Germania 2019 –

“La candidata ideale”, ultimo lungometraggio della regista saudita Haifaa Al Mansour, narra le vicende di Maryam (Mila Al Hilalo), un medico che lavora in un piccolo ospedale in una frazione di Riad, in Arabia Saudita. Il fatto di essere donna è fonte di pregiudizi che non solo le impediscono ulteriori sviluppi nella carriera, ma molto spesso non le permettono di svolgere il normale lavoro quotidiano. Sensibile e attenta, Maryam si adopera per ottimizzare le condizioni di vita delle persone che vivono nella sua zona, lottando per ottenere migliorie. La sua battaglia-simbolo è, prima di tutto, quella per far asfaltare la strada che conduce al Pronto soccorso, troppo spesso inagibile.
Figlia di un musicista (Khalid Abdulraheem) e di una cantante da poco deceduta, Maryam vive con il padre e due sorelle: Selma (Dae Al Hilali), esperta di comunicazioni visive, fa la pubblicitaria free lance e Sara (Nora Al Awadh), la più piccola, è ancora studentessa.
Maryam vuole partecipare ad un’importante Conferenza medica a Dubai ma, per un disguido burocratico (un permesso scaduto) non potrà salire sull’aereo senza il consenso scritto del suo tutore – così come vuole la legge islamica – e cioè quello del padre che si trova in tournée con il suo gruppo musicale. Così, nel tentativo di risolvere il problema negli uffici municipali, si troverà a candidarsi alle prossime elezioni del Consiglio Comunale, in modo del tutto casuale. Incontrerà mille ostacoli a cominciare proprio dai dubbi delle sorelle, in particolare di Sara, preoccupata per la notorietà negativa che tutti i membri della famiglia ne potrebbero trarre.
I genitori, grazie al fatto di essere degli artisti, erano decisamente atipici e di vedute molto più aperte rispetto alle famiglie conservatrici, e la madre si era anche battuta per la condizione della donna, ricevendo pesanti critiche. Maryam ha ereditato da lei la volontà di agire per il cambiamento e nel film la si osserva crescere man mano in consapevolezza e prendere coscienza, durante tutta la campagna elettorale.
In Arabia Saudita sia le occasioni sociali di svago, sia quelle di impegno politico, sono rigidamente riservate o a soli uomini o a sole donne, le quali possono finalmente togliersi il niqab. Ma alla festa di un matrimonio, ad esempio, appena entra lo sposo le donne devono ri-coprirsi.
Il film trasmette molto bene la contrapposizione tra le nuove tecnologie e le usanze tradizionaliste e antiquate. Ad esempio, le donne in fila all’aeroporto coperte da burka o da chador sono tutte intente a chattare con i propri smartphone. Fa veramente impressione pensare che lì solo da pochissimo le donne abbiano ottenuto il permesso di guidare da sole l’automobile!
Figlia del poeta Abdul Rahman Mansour, la regista si è laureata in Lettere presso l’Università Americana del Cairo e ha completato un Master in Directing and Film Studies presso l’Università di Sydney. I temi dei suoi film vertono sulla tolleranza e sui pericoli dell’ortodossia, sottolineano, inoltre, l’assoluta esigenza di osservare con occhio critico la cultura tradizionale estremamente restrittiva.
Nel 2012 Haifaa Al Mansour ha realizzato il suo primo lungometraggio, “La bicicletta verde”, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia in quell’anno, riscuotendo un notevole successo internazionale. Il film raccontava le vicende di una ragazzina di Riad che aveva il sogno di comprare una bicicletta per poter correre e gareggiare con il suo amico Abdullah. Ma in Arabia Saudita non è appropriato che una ragazza giochi con un maschio né che vada in bicicletta. Con ostinazione, la ragazzina insegue il suo desiderio di libertà e racimola i soldi vendendo braccialetti e compilation di musica occidentale. Ma anche questo era proibito.
Haifaa Al Mansour è riuscita in qualche modo, attraverso le sue opere cinematografiche e televisive, a penetrare il muro di silenzio che circonda la vita reclusa delle donne saudite, dando spazio alle loro voci inascoltate.

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