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Microcritiche / I Miserabili nella metropoli del Duemila

3 Giugno 2020
di Ghisi Grütter

I MISERABILI – Regia di Ladj Ly. Con Alexis Manenti, Damien Bonnard, Djibril Zonga, Issa Perica, Steve Tientcheu, Almamy Kanouté, Jeanne Balibar, Francia 2019. Fotografia Julien Poupard, musiche Pink Noise.

In questi giorni stiamo seguendo l’ennesima violenza della polizia americana su un afroamericano a Minneapolis e le reazioni a catena che tale atto sta producendo. George Floyd, così si chiamava l’uomo, è stato bloccato con un ginocchio sul collo, quindi soffocato, mentre affermava di non poter respirare. I quattro poliziotti che lo avevano fermato sono stati licenziati ma poi, dopo varie manifestazioni e petizioni internazionali, sono stati arrestati.
Ed è proprio questo il forte clima di violenza che si respira nel film “I miserabili”. Mi si è attorcigliato lo stomaco per un’ora e tre quarti, durante tutta la proiezione del film.
Siamo nei grands ensembles di Montfermeil, un comune francese di 25.000 abitanti all’estrema periferia orientale parigina nel dipartimento della Senna-Saint-Denis nella regione dell’Île-de-France.
È proprio lo stesso luogo dove Victor Hugo ha ambientato il suo famoso romanzo Les Misérables del 1862. I suoi personaggi appartenevano agli strati più bassi della società francese dell’Ottocento, i cosiddetti “miserabili” – persone cadute in miseria, ex forzati, prostitute, monelli di strada, studenti in povertà – la cui condizione non era mutata né con la Rivoluzione né con Napoleone, né con Luigi XVIII.
E come gli abitanti di allora, anche oggi in questa zona povera si trovano gli attuali” miserabili”: c’è lo spaccio di droga, ci sono i furti, qui vivono immigrati di varie generazioni e gli zingari, c’è il Sindaco nero, ci sono i Fratelli mussulmani. E soprattutto c’è l’eccesso di violenza messo in atto dalla polizia.
Nel 2017 Ladj Ly, regista parigino quarantenne originario del Mali, aveva già girato un corto sullo stesso tema, in seguito ha scritto la sceneggiatura del lungometraggio con Giordano Gederlini e il coprotagonista Alexis Manenti.
Il film si apre con una scena del mondiale vinto dalla Francia del 1998, dove tutti cantano la Marseillaise. Molti tifosi sono neri, quasi tutti, e riempiono come un fiume in piena les Champs-Élysées con i volti pieni di gioia gridando “vive la France”. Ma l’apparente unità nazionale nel film viene subito frantumata dai contrasti tra i vari gruppi etnici che si fronteggiano, una volta rientrati nel quartiere.
Il regista riesce a costruire una tensione altissima per tutto il film, grazie anche alla bravura di tutti gli attori (di cui solo alcuni professionisti), e guida lo spettatore all’interno di una tremenda rivolta ispirata a quella parigina del 2005.
Ladj Ly, che ha iniziato a filmare proprio durante le rivolte di quell’anno, tallona i personaggi con la macchina a mano e ogni tanto, per aumentare la tensione, aggiunge alle immagini una musica cavernosa di sottofondo.
Stéphane Ruiz (Damien Bonnard) è un poliziotto divorziato che, per seguire il figlio affidato alla madre, si è trasferito a Parigi venendo da Cherbourg, una piccola cittadina sulla Manica. Entra così a far parte della Brigata anti-criminalità di Montfermeil, e conosce i suoi nuovi compagni di squadra l’impulsivo Chris (Alexis Manenti) e il più introverso Gwada (Djibril Zonga). Il regista, attraverso lo sguardo di Stéphane nel suo primo giorno di pattugliamento, svela in crescendo le ostilità tra i vari gruppi presenti del distretto.
Con lo sguardo essenziale del documentarista, Ladj Ly mostra l’habitat di bande e di gruppi criminali e il degrado urbano dei palazzoni dei grands ensembles costruiti tra gli anni ‘60 e ‘80. Molti di questi grossi interventi di edilizia economica e popolare – o come li chiamano i francesi “logements sociaux”- è previsto che vengano demoliti negli attuali programmi di rinnovo urbano.
Un giorno di ordinaria amministrazione viene rapito un leoncino dal circo equestre di passaggio e i tre poliziotti scoprono che lo aveva preso il giovane Issa. L’agente Chris che comanda la squadra non è tipo da andare per il sottile e in una zona così difficile usa spesso la violenza per farsi “rispettare”. Gwada lo segue, nato e cresciuto in quel quartiere, pensa che non ci siano alternative a quel modo brutale di comportarsi. In un momento di trambusto Gwada ferisce gravemente Issa, mentre il drone di Buzz – esplicita metafora del cinema – un altro ragazzino nero del quartiere, riprende tutta la scena.
Inizia in tal modo la caccia al video che può compromettere la vita e la carriera dei poliziotti. E così, in un crescendo, il regista guida lo spettatore nei meandri della conflittualità tra i vari gruppi e nella violenza della guerriglia urbana, gestita per di più da ragazzini arrabbiati (casseurs?).
Nel finale è citata la frase di Victor Hugo: “Amici miei, tenete a mente questo: non ci sono né cattive erbe né uomini cattivi. Ci sono solo cattivi coltivatori”, come per ristabilire una distanza dalla violenza dei poliziotti, sottolineando un punto di vista da documentarista più che da attivista militante, a differenza da altri film recenti come ad esempio “En guerre” di Stéphane Brizè del 2018.
“I miserabili” – premio della giuria alla 72ma edizione del Festival di Cannes -è un film molto duro, ma molto bello, e fornisce notevoli spunti per una riflessione.

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