“Una crisi è un periodo, una flessione più o meno duratura, facente però parte della inarrestabile crescita continua di lungo termine che, ripeto, segue la vicenda umana, sempre in progresso”.
È l’ultima frase di un testo che nella domenica di Pasqua campeggiava a tutta pagina nel primo sfoglio dei maggiori quotidiani nazionali, un “avviso a pagamento”, firmato da Ennio Doris, presidente di Banca Mediolanum. A rischio di fargli nuova pubblicità gratuita non posso fare a meno di citarne altri passi. Ciò che mi ha colpito è l’inossidabile ottimismo che il messaggio vuole trasmettere. L’autore non rimuove certo le circostanze tragiche che stiamo vivendo, comincia dichiarando la propria vicinanza a chi soffre e ha perso i propri cari (e va detto che Doris ha anche donato una somma ragguardevole alla Regione Veneto per aiutare l’impegno contro il virus. La banca che ha fondato – aiutato all’inizio degli anni ’80 da Silvio Berlusconi – l’anno scorso, con i suoi 8 mila dipendenti, veniva valutata più di 6 miliardi di euro).
Ma quanto al “crollo economico” che la pandemia si trascina dietro lui si dice “più fiducioso” rispetto ad altre gravi crisi, da quella del petrolio negli anni ’70 alla catastrofe aperta dal fallimento della Lehman Brothers nel 2008, perché la causa scatenante, la malattia, è un “fattore totalmente estraneo all’economia mondiale”.
Non appena il virus passerà – e l’impegno e i progressi della scienza non possono farcene dubitare – ci sarà anzi “un entusiasmo, una voglia di vivere proporzionale e commisurata alla paura che stiamo vivendo ora”.
E i mercati finanziari “di tutto il mondo così come penalizzano i periodi negativi, allo stesso modo premiano poi le riprese e il progresso. Visti nel lungo termine, sono sempre in crescita…”.
Per Doris il risparmio – suo mestiere da mezzo secolo – in termini di importanza per l’uomo, è “secondo solo alla salute”. E non manca una citazione di un ricchissimo e brillante magnate del denaro come Warren Buffet (autore dell’indimenticabile ammissione: “La lotta di classe? Certo che esiste, l’abbiamo vinta noi!”), secondo il quale vale questa massima: “Abbiate paura quando gli altri sono euforici e siate coraggiosi quando gli altri hanno paura”.
Confesso che di fronte alla manifestazione di questa fede capitalista così ottimisticamente incrollabile ho avuto quasi un moto di simpatia, pur sapendo che questo discorso è finalizzato a convincere qualcuno a comprare senza indugio i prodotti finanziari di una banca.
Mi è anche venuto in mente quel frammento di Benjamin, Capitalismo come religione, nel quale il culto del denaro viene descritto come “puro rito” senza dogmatica e teologia, capace di fugare le nostre “ansie, pene e inquietudini”, ma in realtà produttore di una colpa e di un indebitamento senza redenzione, orditi da un Dio nascosto, fino “al raggiungimento di una condizione di disperazione cosmica in cui ancora proprio si spera”. Una visione, dunque, esattamente opposta.
Ma le nostre decennali, secolari riflessioni critiche e dialettiche sulla falsa linearità del progresso e sugli inganni della razionalità moderna, specialmente quella imbracciata da liberali e liberisti, riusciranno mai a battere – proponendo qualcosa di meglio – questa forma di ottimismo cosmico?
Tutto davvero cambierà dopo il virus?
Se non sapremo inventare un’altra razionalità, e soprattutto se non crederemo con altrettanta e maggiore sicurezza, e con i sentimenti di un più allegro buon umore, nel “sogno a occhi aperti” di un mondo radicalmente diverso e migliore, temo che tutto resterà proprio come prima.