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Ciò che dovremo ricordare

20 Aprile 2020
di Lia Migale

Albert Einstein

Divagazioni sul tempo
Da quando la pandemia dovuta al coronavirus ci ha costretti a fermarci e a chiuderci nelle nostre case, un frammento d’idea ha iniziato a bussare al mio pensiero. Come un tarlo ha deciso che voleva venire fuori e così per cercare di comprenderlo ho iniziato a scrivere e a rendere comprensibile a me stessa i flash che mi giungevano. L’immagine di un mondo intero che si fermava, di una terra che riprendeva a respirare, di un tempo che non aveva scadenze era troppo forte per non subirne la fascinazione al di là della razionale comprensione dei danni che provocava…

Con Einstein abbiamo più o meno capito (il meno è per nostra difficoltà all’astrazione) che la misurazione del tempo non è oggettiva. Infatti, quanto più aumenta la nostra velocità nello spazio (rapportata a quella della luce), tanto più il tempo rallenta. Concetti così astratti che solo con una mente capace di un certo grado di fantasia si riescono a concepire. Perchè, come possiamo capire con gli strumenti dell’esperienza quotidiana che lo spazio – che di per sé non è parte del comportamento della nostra esperienza diretta (1) – e il tempo assoluti non possono esistere?
Ma oggi, di fronte all’inaudito che stiamo vivendo per effetto di un infinitesimale virus –
che non è nemmeno un organismo vivente, ma solo un microrganismo di natura non cellulare e di dimensioni submicroscopiche – mi sembra doveroso domandarmi: cosa accade quando si ha la situazione inversa e la nostra velocità nello spazio rallenta? Il tempo si accelera? E cosa vuol dire? L’esempio classico fatto dai fisici ci dice che se di due amici uno sta fermo mentre l’altro cammina avanti e indietro, il tempo passa più lentamente per l’amico che cammina (2). Quindi per quello che sta fermo il tempo passa più velocemente?
Noi oggi stiamo vivendo un paradosso: il tempo di riferimento della terra continua a progredire linearmente seguendo la freccia del tempo, mentre noi abitanti (nella quasi totalità del mondo) stiamo vivendo una sospensione del tempo, la nostra velocità nello spazio è rallentata. Infatti, alla fine del tempo da coronavirus, che supponiamo sia di un anno solare, io sarò di un anno più grande, ma avrò vissuto un anno di meno.

Ovviamente questa forma di sospensione non è la prima volta che succede ma in genere accade a livello individuale, per esempio quando si soffre di una grave malattia, oppure il soldato costretto in guerra, ma non l’intera popolazione del paese che partecipa alla guerra, come invece accade oggi a noi italiani. Così come succede al prigioniero in carcere. Nella mia vita io ho già vissuto questa esperienza a livello individuale quando all’età di quindici anni mi sono ammalata di tubercolosi. Non essendo contagiosa potevo andare a scuola, ma nient’altro. La mia vita sociale era interrotta perché non potevo prendere freddo, non potevo sudare, avevo orari stringenti per innezioni e medicine, per due anni sono vissuta come ora: posso andare al supermercato, leggere libri, informarmi attraverso internet, guardare film e serie televisive, pulire casa e fare esperimenti culinari. Telefonare e chattare (all’epoca senza internet avevo solo i compiti da fare, sentire musica, leggere e qualche volta la mia compagna di banco veniva a fare i compiti da me). Insomma oggi sono anche fin troppo occupata. Ma la mia vita come quella di tutti noi si è fermata.
Tutto questo cosa produce? Dai giornali, dai saggi di filosofi, dagli articoli di psicoanalisti e storici, si rilevano come segnali positivi la maggiore responsabilità, minor egoismo (potrei essere io contagioso e quindi non esco), maggiore comprensione del valore degli affetti, la ricerca di elementi vivacizzanti le relazioni familiari in noi stessi e non nell’esterno, il non essere sopraffatti dal mutevole e quindi essere anche più lucidi, l’ironia. Come effetto negativo si rileva quasi esclusivamente la paura e la difficoltà di reggere condizioni così estreme.
Ma c’è anche dell’altro? Cosa succede al tempo? si velocizza? E se il tempo ha una velocità più alta noi abbiamo più o meno tempo? Elementare, direi. Abbiamo meno tempo

Sì, io credo che di questo fenomeno incominciamo ad accorgercene quasi come fosse una nostra colpa, una pigrizia. Infatti, una delle cose che con sorpresa ci diciamo e che non ci basta il tempo, anche se poi diciamo che abbiamo sprecato il tempo e non abbiamo combinato niente. Una contraddizione? Oppure è proprio questo il tempo velocizzato dal rallentamento della nostra velocità nello spazio? Forse, ma incredibilmente questo tempo velocizzato di fronte ad una velocità di vita rallentata cos’altro provoca?
Per tentare di capirlo o comunque per giocare un po’ con questa constatazione conviene pensare a una persona che ha davanti a sé una biforcazione, da una parte la visione di sé stessa che cammina lentamente nello spazio della vita e dall’altra lei che cammina con un vento forte (il tempo) che l’avvolge, o la frena, o la cambia.
Ed ecco che mi viene di nuovo il pensiero sul mio precedente tempo di vita rallentato, il periodo della Tbc.
All’epoca avevo quindici anni, non i quindici anni di oggi quando le ragazze hanno già vissuto le prime esperienze sessuali, parlano di gender e transessualità con naturalezza, si sanno forti (anche se non è vero). I miei quindici anni erano quelli di una giovane che portava ancora i calzettoni, giocava in giardino con tutti gli altri ragazzini e ragazzine del palazzo, che però iniziava a guardare l’altro, a sentirsi innamorata senza sapere cosa fare di questo sentimento, a volersi vestire più da donna. Proprio l’età di mezzo, il passaggio dalla preadolescenza all’adolescenza dei dolori mistici e sentimentali.

Fu proprio in quel periodo, nell’estate che precedeva la mia iscrizione al secondo anno delle superiori e cioè non più matricola dell’istituto, che si scoprì che i miei polmoni avevano intercettato il batterio della tubercolosi. Dove? Quando? Come? Questo fu sempre un mistero, non c’erano indagini facili da fare e soprattutto ogni possibile soluzione si scontrava con una contraddizione. Cominciai così la cura. Ero in parte fortunata sia perché per l’età non ero contagiosa (così mi dissero, ma il motivo scientifico potrebbe essere stato altro) e di questo se ne facevano garanti il primario e il vice primario del sanatorio della mia città che mi ebbero in cura per ben due anni. Sia, appunto, perché fui curata con il massimo dell’attenzione da questi medici.
E devo spiegare in cosa consisteva l’attenzione e la cura che mi cucirono addosso. Intanto il cibo, io che ero un po’ non dico anoressica, ma certamente molto poco attratta dal cibo tanto che pesavo così poco che quando tirava il vento non riuscivo a camminare, dovevo mangiare molto e a orari precisi: arrivavo a scuola stomacata dalla doppia colazione mattutina di latte e biscotti e uovo sbattuto o crema. Poi dovevo fare lo spuntino di metà mattina alle 10.30, invece che alle 11.30 come faceva l’intera scolaresca, perché dovevo prendere le mie pillole antibiotiche. Avevo un permesso speciale ma che, a parte il sentimento di diversità, mi costringeva ad una prima bugia. Infatti nessuno doveva sapere il perché, altrimenti, contagiosa o meno, nessuno mi avrebbe più avvicinato. Poi pranzo, merenda e cena.
I farmaci dovevano seguire degli orari prestabiliti: la mattina prima iniezione dolorosa che mi faceva mia madre che non era molto brava, poi pillole durante il giorno come ho detto ad orario e prese con i pasti e, alle sette di sera, seconda dolorosa iniezione che però mi faceva una vicina di casa che aveva una mano più leggera di mia madre.
Di uscire non se ne parlava, la mia è una città umida e fredda impossibile per me prendere anche solo il pensiero di una infreddatura (anche ora sto molto attenta a non prendere freddo per paura di questo coronavirus che si presenta con gli stessi sintomi). Le feste? Nemmeno a parlarne, sia per evitare luoghi troppo affollati e poi ballare mi avrebbe potuto far sudare, altra condizione impossibile. Lo sport? Io che ero una sciatrice dovetti rinunciare, sempre per gli stessi motivi, freddo, sudore ecc. Certo la montagna era benefica ma può una ragazza di 15 anni andare in montagna e stare seduta al sole come gli ottocenteschi signori che si curavano sulle Alpi svizzere? No di certo e così cominciai a rinunciare a una mia passione.

Quando arrivò l’estate andammo al mare come tutti gli anni, ma anche qui mi era vietato fare i bagni, avere una comitiva con cui uscire e frequentare i primi localini dell’adriatico pieno di tedeschi. Di quell’estate non ho ricordi se non un’immagine di me triste e sola sulla riva del mare. Il ragazzo che la precedente estate mi aveva corteggiata e che mi piaceva oltremodo si era messo giustamente insieme con un’altra ragazza. Si era spezzato quel filo complesso che porta dai giochi infantili (a volte anche un po’ violenti) alla tenerezza dello sguardo, alla complicità dei corpi: anche solo darsi la mano e un bacio al tramonto.
Così passarono i due anni più importanti della adolescenza.
La massa della mia vita si era rallentata, il tempo era corso via senza darmi l’agio della scoperta e della vita e della relazione. Gli eventi si erano rarefatti. E io ero più vecchia o più giovane?
A rigore per il rapporto velocità nello spazio, velocità del tempo, io avevo guadagnato tempo da vivere, quindi ero più giovane, ma per effetto della direzione unilaterale della freccia del tempo avevo perso le esperienze della progressione temporale, cioè si era creato un lasso di tempo non tempo, un tempo che non era né passato né futuro. Avrei mai più imparato il passaggio dall’amicizia all’amore?

Se di qualcosa non si può avere coscienza allora bisogna dimenticarsene. E dimenticare anche ciò che ha riempito lo spazio profondo dell’anima.
Ho cominciato con il dimenticare il viaggio al sanatorio. Il pomeriggio di paura che riportava la morte al primo posto di quello spazio vuoto e lento della mia vita. I controlli, le chiacchiere con le suore ospedaliere, le radiografie, lo sguardo sui malati ricoverati, il fai attenzione a non toccare niente. Poi ho iniziato a dimenticare le passioni del corpo che avevo legato agli sport: non ho più ripreso a sciare se non tantissimi anni dopo quando l’incoscienza che ti fa buttare sulla pista bianca non c’era più, e nemmeno mai sono diventata una nuotatrice disinvolta. Ho imparato a dimenticare tutto quello che non era o non poteva essere.
Ma ero più giovane e ho imparato a rimanere giovane anche quando la freccia del tempo non perdona. Ma non ho mai imparato a rendere reali le fantasie d’amore.
Il mio presente, quando sono uscita dalla malattia, era pieno di eventi che non erano né il mio passato né il mio futuro.
Diciamolo però per non creare fraintendimenti, lo spaziotempo viene incurvato dalla massa di un oggetto. Cioè la massa di un oggetto, la terra ad esempio, curva lo spazio tempo nel quale è immersa creando così velocità diverse. I giornali riportano in questi giorni la notizia che la nostra galassia, la luminosa Via Lattea, è ben più grande di quanto la si pensava arrivando a ricoprire una distanza di 1,9 milioni di anni luce. E, cosa ancora più sorprendente per noi che, sempre se non dotati di grande fantasia, fatichiamo a capire, per la maggior parte sarebbe formata da materia oscura, cioè quella materia che c’è ma non si vede e che però produce effetti sugli oggetti visibili. Ebbene, la scienza ha dedotto che la Via Lattea è avvolta da un alone di materia oscura perché ha rilevato che le stelle sul bordo esterno del disco si muovono più velocemente di quanto dovrebbero secondo i calcoli effettuati in base alla presenza di materia visibile (..più o meno..).
Forse ho divagato, ma la divagazione mi serve per dire che se è vero che la vita non ha peso, certo i nostri corpi distesi sui divani sì. La massa di una quasi popolazione mondiale che mediamente copre una distanza di non più di cinque seicento metri al giorno è una massa importante e rallentata oltre ogni dire. E non per un giorno, ma certo per qualche mese sì. Si calcola che gli spostamenti si siano ridotti nelle ultime settimane all’incirca tra il 70 e il 78%.

Cosa produrrà tutto ciò?
Saremo più giovani o più vecchi? Avremo da dimenticare o da imparare?

Indubbiamente la grande massa che ha messo in sospensione la velocità della vita non comporterà solo soluzioni individuali adattative, ma certamente qualcosa di più.
Tutti insieme ci dimenticheremo – è sarà necessario ma anche inconscio – le mascherine che oggi sono il nostro maggior oggetto del desiderio, ci dimenticheremo le farmacie e mangeremo solo al ristorante. Ci dimenticheremo la sofferenza che oggi abbiamo nell’uscire per fare la spesa o buttare la spazzatura senza mai il conforto di un caffè al bar per me macchiato freddo. Ci dimenticheremo quanto ci è stato vicino il pensiero di morte. Ma la solitudine che abbiamo imparato a gestire ci rimarrà nel cuore?
Cosa avrà da dimenticare la mia nipotina che nel pomeriggio si mette a suonare e a cantare e così rallegra chi le sta vicino? Cosa avrà da dimenticare chi prima era solo nella sua solitudine e poi era insieme a tutti nella loro solitudine?
Non so rispondere ma so che la dimenticanza produrrà un’altra era. Sarà finalmente finita l’era dei Pesci? Saranno passati i 2160 anni necessari all’entrata nell’era dell’Acquario. Ci dimenticheremo i segreti di Fatima e ricorderemo forse una grande piazza vuota con un solo uomo al suo interno che dice: eccomi. Il tempo di Aion, quello che determina le grandi epoche, ci chiederà un pagamento per fuggire dal tempo del Cristo che si è dovuto fare uomo per non farci perdere?
Nella nostra esperienza di vita normale i giorni e le ore segnano il nostro fare o non fare. Ho lavorato, ho letto, ho scritto, ho visto gli amici. Sono i giorni e le ore del nostro continuo cambiare, anche solo invecchiare. Però non sempre il tempo si manifesta in questo modo e, sebbene molto raramente, mi è capitato di vivere delle esperienze di annullamento del tempo storico. Per cercare di farmi capire sono costretta a dichiarare una mia caratteristica che, confesso, mi ha sempre inquietato, anzi che ho proprio odiato. Insomma, difficilmente, direi quasi mai (e il quasi lo scrivo solo perché io non sono mai sicura di ciò che affermo), riesco a perdere il controllo di tutto quello che accade intorno a me. E’ rimasto famoso il giorno in cui il mio compagno di allora mi aveva lasciato e io ero con lui alla stazione di Bologna e avevo gli occhi pieni di lacrime perché forse quella era l’ultima volta che saremmo stati così prossimi l’uno all’altro e in quello stato, comunque alterato, vado alla biglietteria per comprare il mio ritorno a Roma e mentre sono pur così disperata non posso fare a meno di dire al bigliettaio che ha sbagliato nel ridarmi il resto! Ecco mi sono odiata, ma io ero così. Poi un giorno mi sono accorta mentre camminavo per la via principale del mio rione, che per un tempo per me incalcolabile, forse un secondo forse cinque minuti io avevo perso contatto con tutto. Dove ero? Cosa era successo? Per un attimo o comunque per un tempo indefinito avevo perso il controllo di me e di dove ero e dove stavo andando. Avevo percorso un metro o ero stata ferma? La trama dello spazio tempo si era condensata in un valore assoluto e non lineare. Avevo forse avuto esperienza del “quanto” di tempo? E vissuto la non continuità e linearità della sua freccia? Ero stata lì, sulla stessa strada di quando avevo coscienza degli eventi, ma non c’erano stati eventi per la durata di quell’infinitesimale quantità di tempo.
Nel tempo come valore assoluto non c’è narrazione. Recentemente ho ripreso in mano il Paradiso, dove, a me pare, che Dante fa coesistere due nozioni di tempo, quella di Aristotele (tempo come durata, continuum spaziale, linearità), e un’altra, opposta, di Sant’Agostino (tempo come istante indivisibile, simultaneità), senza mai arrivare a una vera conciliazione tra loro.
Il tempo procede nel procedere del racconto, perchè l’esistenza è una caduta nel tempo, ma proprio perciò si può raccontare (la narrazione è cronologica, lineare, etc. è differenza, molteplicità, pluralismo). Ma mentre Dante si avvicina a Dio e più si ricongiunge all’uno, all’identico, al riposo eterno, tanto più deve abbandonare il ritmo narrativo e procedere verso un mondo lirico. Infatti nel XXXII Canto del Paradiso la terzina si rinnova e rima solo con il nome di Cristo (“Cristo non può che rimare con Cristo”).

Ma poi che ‘l tempo della grazia venne,
senza battesimo perfetto di Cristo,
tale innocenza la giù si ritenne.
Riguarda ormai nella faccia che a Cristo
Più si somiglia, che la sua chiarezza
Sola ti può disporre a veder Cristo.

Ne parlavo con il mio amico Filippo La Porta, che ha scritto un saggio secondo lui “temerario” sulla Commedia dantesca. E mi diceva che forse “la nozione agostiniana del tempo è quella che, paradossalmente, ci introduce all’unica eternità che possiamo sperimentare in vita: eternità non come tempo infinito ma come sospensione del tempo e plenitudo vitae (Boezio, e qualche secolo dopo Spinoza).”
Sospensione del tempo e pienezza della vita, sono mai possibili insieme questi due termini? Noi che oggi viviamo il tempo sospeso possiamo parlare di pienezza del nostro vivere?
Certo sarebbe bello se scoprissimo che la solitudine, l’isolamento, la non velocità della vita comunque ci avvicinano a quel tempo assoluto dove il tempo stesso non esiste perché non c’è bisogno di misurare per essere. Ma noi siamo testardi e continueremo a pensare che il poi viene dopo il prima. E che narrare è meglio di essere. Eppure ciò è accaduto, sta accadendo. Il tempo si è affrettato e noi ci siamo fermati.
Sarà per noi come per la bella addormentata nel bosco? I mesi saranno passati e noi non li avremo vissuti, ma proprio per questo quando un abbraccio ci sveglierà noi saremo come prima, giovani ancora del tempo che ci volevano rubare? L’esistenza raggelata all’interno dello scorrere sempre più veloce del tempo avrà intessuto gli eventi che ci saremo creati, le relazioni che saremo riusciti ancora ad alimentare, forse solo con la pochezza o ricchezza dei ricordi. Ecco ciò che dovremo ricordare. Non la rabbia del tempo perduto, ma la dolcezza del tempo ricordato. Come nelle nostre lunghissime telefonate. Senza un presente oggi noi intessiamo la rete degli eventi di ricordi e di promesse.
Ma se avremo da dimenticare ciò che ci ha riempito di paure e ricordare il tempo ricostruito, cosa mai dovremo imparare?

NOTE

1 Jim Baggott, Origini, Adelphi, 2017.
2 Carlo Rovelli, L’ordine del tempo, Adelphi, 2017 pag.39.

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