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Microcitiche / Il nuovo eroe senza nome di Clint

1 Febbraio 2020
di Ghisi Grütter

RICHARD JEWELL – Film di Clint Eastwood. Con Paul Walter Hauser, Sam Rockwell, Kathy Bates, Olivia Wilde, John Hamm, USA 2019. Sceneggiatura di Billy Ray, musica di Arturo Sandoval-

È incredibile come Clint Eastwood alla soglia dei novant’anni sia ancora bravo a raccontarci così bene cosa sia l’America!
Eastwood spesso per i suoi film parte da una storia vera, da un fatto realmente accaduto, molte volte da una biografia. I personaggi scelti e portati sullo schermo, camminano su un margine, si potrebbero definire border-line, sono un po’ maniaci (del senso del dovere? della giustizia?), ma anche un po’ ottusi e comunque sono dei diversi. Talvolta sono “uomini senza nome” che compiono gesti da eroi ma poi ne pagano le conseguenze, e gli americani sono bravi a credere collettivamente prima una cosa e poi il suo esatto contrario! Gli eroi di Clint sono tutti principalmente uomini soli, o almeno così sono rappresentati nei suoi film recenti. Come Chris Kyle, il tiratore scelto di “American Sniper” che muore assassinato da un reduce squilibrato, così anche Chesley Burnett Sullenberger, l’esperto pilota di “Sully” che nel 2009 riuscì ad ammarare sul fiume Hudson dopo un blocco ai motori, e così ancora Richard Jewell nel film omonimo. La sceneggiatura di quest’ultimo, scritta da Billy Ray, è ispirata al libro Il caso Richard Jewell di Kent Alexander e Kevin Salwen.
Ma vediamo la storia. Siamo ad Atlanta in Georgia dove vive con la madre Bobi (la sempre bravissima Kathy Bates), Richard Jewell (un fantastico Paul Walter Hauser), un giovane trentenne sovrappeso che fa il vigilante, con l’aspirazione di essere un poliziotto. Aveva già lavorato come vicesceriffo e come guardia universitaria al Piedmont College, ma era stato sempre allontanato da questi ruoli perché, con il suo eccesso di zelo, aveva sempre finito per esagerare rischiando di dare fastidio alle persone.
Si trova quindi a fare la guardia di sicurezza per la AT&T durante le Olimpiadi di Atlanta del 1996. Il 17 luglio, durante un concerto, Jewell scopre uno zaino sospetto vicino a una torre del Centennial Olympic Park. Avvisata la polizia che scopre tre bombe a tubo caricate con chiodi contenute nello zaino, Richard aiuta a evacuare l’area prima che esplodano, evitando una strage e salvando la vita di molte persone. Nonostante lo sgombero, l’ordigno nello scoppio uccide due persone e ne ferisce un centinaio.
Inizialmente Richard è incoronato dai media come un eroe, ma successivamente – sulla base solo dei suoi comportamenti passati – viene considerato il principale sospetto attentatore. Vessato dai federali (le perquisizioni in casa, la presenza di cimici nascoste nell’appartamento, continui interrogatori) e dalle loro indagini viziate dal pregiudizio, e assediato dalla stampa, Richard smette di vivere in pace e la vita sua, e di sua madre, si tramuta in un inferno.
Solo più tardi verrà riabilitato e sei anni dopo si scoprirà che il vero colpevole responsabile dell’attentato è stato Eric Rudolph, un fanatico dell’associazione Christian Identity che aveva già compiuto atti terroristici nel sud degli Stati Uniti. Il caso di Richard Jewell è considerato a tutt’oggi un esempio del danno che le persecuzioni giudiziarie e dei media possano arrecare in base solo a preconcetti.
Ma il vero eroe del film, a mio avviso, è Watson Bryant (uno splendido Sam Rockwell), l’avvocato che difende Richard, passato da essere un elegante avvocato di un grosso studio a un trasandato difensore di scartoffie, che si rivelerà coraggioso e giustamente arrogante con gli agenti federali fissati e persecutori. È l’unico, a parte la madre di Richard, che ha fiducia in lui e che lo difenderà da tutto e da tutti, e perfino da se stesso.
In questo film c’è un po’ tutto ciò che sappiamo dell’America, vista attraverso i film. C’è lo strapotere dei media che riesce a osannare una persona fino a farlo diventare un eroe nazionale e poi, dopo tre giorni, a infangarla con le accuse più tremende, scavando nel torbido del suo passato. C’è anche la facilità di possedere le armi, infatti, il film mostra che il protagonista, con il pretesto di essere cacciatore, possiede un piccolo arsenale. C’è il Federal Bureau of Investigation con gli agenti federali ottusi in cerca di capro espiatorio – naturalmente non è sfuggito il dettaglio di una classica polemica sul territorio di competenza tra agenti di polizia e federali. C’è la legge americana, il potere degli avvocati, ma anche la fiducia nella giustizia.
Quante volte abbiamo sentito pronunciare la frase: “Al di là di ogni ragionevole dubbio” nei film americani? Qui la frase non c’è ma il concetto si. Mi sembra importante ricordare, in questi giorni di dibattito giustizialista della politica italiana e dopo le dichiarazioni recenti del Ministro della giustizia Alfonso Bonafede, che “è meglio un colpevole impunito che un innocente in galera”.

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