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relazioni politiche, dal quartiere al mondo

Lettera dall’Australia (del mio cuore)

25 Gennaio 2020
di Vittoria Pasquini

(Raw from the Heart)

E cosi’ e’ arrivato.
Il momento che gli Aborigeni predicevano, gli scienziati avevano studiato e che molti paventavano.
Australia, The Lucky Country.
Il continente vergine dalla bellezza primordiale, selvaggia e sconvolgente, migliaia di chilomentri di costa intonsa, milioni di ettari di foresta antichissima, aria cristallina, mari trasparenti, biodiversita’ a gogo.
Sono bastati tre mesi, un attimo cioe’, per cambiare l’Australia per sempre.
Il paese che da trent’anni non aveva avuto recessioni ma crescita continua per la sua posizione centrale nel sud est asiatico, il paese che aveva le quattro maggiori banche tra le piu’ forti al mondo, stipendi altissimi, industria edile in continua ascesa, e’ ora in ginocchio.
Incendi devastanti hanno a tuttora ucciso 28 persone (100.000 evacuate), distrutto circa 2000 case, milioni di animali e di ettari di terra.
E non sono ancora finiti questi megaincendi che, come antiche divinita’, hanno una propria volonta’ e intelligenza, creano microclimi e temporali di fuoco saltando fiumi e pianure glabre per ricongiungersi con i loro grandi fratelli.
Non si riesce a fermarli. Si resiste aspettando le piogge, alcuni pregano, altri fanno danze propiziatorie, i vigili del fuoco grandi eroi del momento si gettano tra le fiamme per salvare almeno le vite umane.
Immagini scorrono in tv che ricordano scene della seconda guerra mondiale: sfollati che si imbarcano sulle navi con le fiamme alle spalle, paesi rasi al suolo, elettricita’ e acqua tagliate, code per l’acquisto di cibo, centri di accoglienza con materassi e zuppa calda.
Ma anche i lamenti strazianti degli animali in fuga che tormentano i sonni dei sopravissuti, intere distese di terra nera con migliaia di canguri, di koala, di possum, di wombat carbonizzati.
Si cercano le ragioni di tutto cio’, si dibatte, si accusa, ci si dispera, ci si stringe tutti insieme, dalla guerra in Vietnam in poi gli australiani non sono stati piu’ cosi’ interessati alla politica come ora.
E il governo? Cosa fa, cosa ha fatto il governo conservatore australiano in questi lunghi, lunghissimi mesi?
Se n’e’ andato in vacanza. Non solo il primo ministro alle Hawaii e il ministro per i servizi di emergenza del NSW in Europa, ma tutto il corpo dirigente federale si e’ assentato alla grande.
Questo perche’, nonostante la schiacciante letteratura scientifica sul Climate Change e le sue devastanti conseguenze, nonostante i risultati di importanti ricerche (es. la Garnaut Climate Change Review sulla specifica situazione climatica australiana che prediceva 12 anni fa un aggravamento degli incendi dal 2020 in poi), il governo attuale non crede, suona ridicolo dirlo ora, non crede alle prove scientifiche di stragrande maggioranza. Parla, straparla, promette, si difende, ma non ci crede veramente.
Non solo. Crede ancora (e in questo purtroppo il partito di opposizione laburista gli si accoda pur se con dei confusi distinguo) che l’industria mineraria debba andare avanti, incurante del vizio di fondo che sia appunto questa una concausa del Climate Change. Crede ancora che l’energia alternativa sia una fantasia dei Verdi e non una necessita’ ormai impellente. Che gli Aborigeni debbano stare zitti e buoni invece di considerarli gli esperti millenari dell’uso e del controllo dei fuochi stagionali nelle immense distese di bush.
Se n’e’ tornato cosi’ alla chetichella questo primo ministro con il suo governo conservatore che tiene detenuti nelle isole penali i richiedenti asilo e non vuole includere nella Costituzione, datata 1901, The First People, gli Aborigeni australi che vivono nell’isola piu’ grande del mondo da almeno 60.000 anni. E ha cominciato ad elargire soldi a man bassa dopo il suo ritorno Scott Morrison, ScoMo ormai per tutti, come se i soldi potessero cancellare la distruzione, farla dimenticare a tutti quelli che l’hanno vissuta.
E noi?
Noi italiani che avevamo lasciato la vecchia Europa negli anni ’80 in cerca di avventura, di spazio verde e liberta’, noi che sognavamo l’isola misteriosa, l’isola che non c’e’, noi che eravamo arrivati in Australia quando il governo laburista di Hawke e Keating era appena stato eletto e la vita era bella, noi che amavamo questo continente dimenticato da Dio e dagli uomini, fuori dai circuiti di potere, dove la vita era easy e la nazione lucky, le case costavano poco e il lavoro si trovava sempre, il multiculturalismo era in voga unico al mondo e i Verdi si tuffavano con i surf per fermare le navi da guerra americane, noi giovani di sinistra in fuga, noi gay, noi ambientalisti, noi che credevamo in un mondo migliore, abbiamo assistito attoniti anno dopo anno alla lenta inesorabile trasformazione di questo paese in una potenza internazionale al centro dell’area di maggiore sviluppo economico degli ultimi anni, l’economia unica religione, sempre piu’ miniere aperte, investimenti esteri sempre piu’ importanti, immagine internazionale piu’ aggressiva ma sottomessa agli americani, l’Australia conosciuta un tempo per il suo atteggiamento aperto e accogliente nei confronti dei boat people, ora ricca, molto ricca e terribilmente egoista.
Noi siamo adesso a testa china, sgomenti e increduli che quanto avevamo letto nei saggi scientifici, quanto avevamo temuto in questi trent’ anni pieni di colpi di scena ma sempre sperato che fosse di la’ da venire e che percio’ la vita potesse essere ancora bella, non fosse come ora invece un’ orribile realta’.
Siamo anche pero’ profondamente incazzati.
In parte con noi stessi, per non aver fatto di piu’ sapendo del rischio possibile, rimasti spesso alla finestra a guardare, a giudicare senza rimboccarci le maniche, noi che avevamo l’esperienza della vecchia Europa, delle lotte politiche degli anni 60-70 e che percio’ sapevamo.
Ma non solo noi.
Questi fuochi crudeli e ipnotici hanno creato comunita’, hanno costretto gli australiani di tutte le razze, eta’, religioni, ceti sociali, ideologie, a unirsi nella protesta perche’ l’aria, l’acqua, la flora e la fauna non hanno barriere di nessun tipo e siamo tutti stati colpiti da questa ira grande della Madre Terra.
E cosi’ la speranza nella disperazione rinasce e la gente parla, discute, si arrabbia, fa progetti e poi si abbraccia e sorride. Riusciremo combattere la battaglia di Davide e Golia? Il piccolo popolo australiano e le grandi multinazionali che come avvoltoi stanno a guardia delle miniere e non sono disposte a mollarle? Riusciremo a far capire al resto del mondo che quello che sta succedendo in Australia in maniera eclatante, chiara e inequivocabile, e’ l’antipasto di quello che probabilmente succedera’ altrove? Che l’ambiente e la sostenibilita’ ambientale sono adesso al centro del discorso e al tempo stesso la cornice ormai necessaria per qualunque progetto politico/ economico?
E che questa e’ oramai una strada senza ritorno.

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