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relazioni politiche, dal quartiere al mondo

Rivolte nel mondo. Il pane, whatsapp, l’oppressione e la libertà

7 Novembre 2019
di Letizia Paolozzi

E mentre all’Ilva di Taranto gli operai, ma non solo loro, pagano per l’irresponsabilità di una classe dirigente incapace di fare i conti – non da oggi e non da ieri – con il rapporto lavoro e ambiento, avendo puntato tutto sulle magnifiche sorti e progressive dello sviluppo senza rispetto alcuno per la salute, nel continente latinoamericano corruzione e ingiustizia sociale, evasione fiscale e crescita delle diseguaglianze, promesse mancate della democrazia, indecorosità dei gruppi dirigenti, spingono la Bolivia, come la piccola Haiti, a dire “basta”.
La punta dell’iceberg di tante contraddizioni è il Cile dove l’ultima manifestazione ha visto più di un milione di persone scendere per le strade gridando “No sono 30 pesos, son 30 años”. Non è stato soltanto l’aumento del prezzo del biglietto del metrò a determinare la protesta, benché il fuoco l’abbiano appiccato gli studenti di Santiago occupando la metropolitana, ma uno scontento per le contraddizioni sempre più acute generate dalla ricetta liberista del presidente Piñera.
Eppure, questa ricetta ha portato il Cile a una grande crescita economica rispetto ad altri paesi latinoamericani dai quali – guardate quanto conta il Pil – le notizie arrivano con il contagocce (Haiti da due mesi nel caos, Bolivia, Honduras, Ecuador). La repressione, attizzando il malcontento non solo in Cile (trenta morti), ha prodotto reazioni sempre più decise anche in altri continenti.
A Hong Kong dove la polizia ha sparato a un ragazzo perforandogli il polmone, il giorno seguente la gente sfilava mano sul petto a indicare il punto in cui il giovane era stato colpito. Senza capi o leader riconosciuti, i manifestanti cambiano tattica giorno dopo giorno: “Be water” diceva l’attore Bruce Lee per descrivere l’esperienza del Kung-fu. L’hanno preso in parola imitando nelle manifestazioni gli spostamenti dell’acqua. Comunque, resistono da mesi e pretendono maggiore autonomia dalla Cina, più autodeterminazione. Per questo agitano la bandiera dell’indipendentismo catalano come è accaduto in Scozia o in Cornovaglia: globalizzazione non solo della finanza ma della protesta?
D’altronde, anche a Barcellona sono state le cariche della Guardia Civil contro gli elettori del referendum (nel 2017) e ora le condanne da nove a dodici anni per i leader indipendentisti a incendiare la prateria, a cambiare il segno dell’opposizione all’inizio non violenta. Brucia ragazzo brucia e in un falò sono stati ridotti in cenere i ritratti fotografici di Felipe VI, arrivato nella città delle ramblas poco prima della giornata delle elezioni generali.
Venendo al Medio Oriente, in Egitto Al-Sisi previene gli oppositori e ne sbatte in carcere a migliaia sempre nel silenzio della comunità internazionale. A Baghdad dove i morti negli scontri finora sono stati 220, la «generazione 10 dinari” quella che guadagna in una giornata meno di otto dollari, rivendica salari decenti e una minore influenza iraniana. Si sa che molti regimi, da quello cinese all’iraniano, non hanno simpatia e comprensione per i sommovimenti sociali e politici.
In Libano è stata una tassa sull’utilizzo di WhatsApp subito ritirata a scatenare sommosse drammatiche che adesso prendono di petto non solo la situazione economica al collasso ma l’influenza dell’Iran per interposta presenza del Partito di Dio, Hezbollah. La prima testa a cadere per via della corruzione della classe dirigente è stata quella del premier sunnita, Hariri. Migliaia di persone hanno formato una lunga catena umana per chiedere maggiore laicità contro i gruppi confessionali.
Esistono dei nessi, è possibile tracciare un parallelo tra le rivolte? O spiegarle con oscure e interessate interferenze esterne?
Non credo. Tuttavia, giovani, donne, chi lavora sottopagato e chi non lavora, provano d’improvviso a rompere la crosta di un ordine diventato insopportabile, a far esplodere una condizione prima che si eternizzi. La fiducia nell’autorità costituita si è volatilizzata. Se ha ancora un senso il vecchio adagio “non si vive di solo pane”, il pane resta indispensabile ma può misteriosamente trasformarsi in una tassa su WhatsApp.
Come dire, che non tutto è sfruttamento e non tutto è oppressione. Quanto alle radici materiali e simboliche ognuno di noi può rintracciarle. Parlano anche di un desiderio di libertà?

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