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relazioni politiche, dal quartiere al mondo

In una parola / Sardine, gattini e altri mostri

30 Novembre 2019
di Alberto Leiss

Pubblicato sul manifesto il 26 novembre 2019 –

Ho letto che le sardine, quelle vere nel profondo mare, non solo si uniscono tra loro in grandi e fitti banchi, ma spesso si accompagnano in queste comitive magicamente consenzienti sulle mete comuni con altri piccoli pesci: le acciughe, ma anche più giovani esemplari di diversi abitanti marini, come i tonni. A proposito di questa sorprendente manifestazione zoologica e politica forse più che strologare sulle intenzioni, i manifesti, le manovre dietrologiche, ha qualche senso abbandonarsi a sensazioni fantastiche.
Immaginare che gli adorati gatti e gattini non si faranno certo strumentalizzare dal bruto Salvini: al contrario sorgerà una sorta di alleanza animalesca (nel senso del contatto tra anime diverse) tra il meraviglioso individualismo sornione dei piccoli felini e lo spiccato senso comunitario dei pesciolini.
Tiro poi in ballo altri “mostri” alludendo al significato originario della parola, che ha a che vedere con il prodigio, con una manifestazione straordinaria, non necessariamente brutta e paurosa. Il termine deriva dal latino monere, cioè avvertire, quindi mostrare. Un fenomeno che interviene “quasi stia per avvertire – dal solito dizionario etimologico on line – secondo una idea superstiziosa degli antichi, della volontà degli dei: quod moneat voluntatem deorum”.
In un vecchio fascinoso saggio (su Micromega del 1988, n.1) intitolato Fondamenti della teratologia (la scienza delle trasformazioni mostruose, in questo caso dal greco teras) Giorgio Prodi, dopo osservazioni di grande interesse scientifico e filosofico, si cimentava con l’invenzione di alcuni “mostri letterari”, non impossibili biologicamente, ma “catturabili”, per ora, solo “col linguaggio”.
Citerò solo il Delfino-scimpanzè, un “essere molto dolce e tranquillo. Forma comunità assai stabili. Il suo carattere precipuo è la mancanza di qualsiasi traccia di aggressività. Vaga anche da solo, meditando, ma comunica subito le sue scoperte agli altri, che se ne avvantaggiano. Non si ricorda quasi più dell’acqua , ma gode sotto la pioggia: allora dirige verso l’alto i suoi occhi appannati di tristezza, e subito si volge a una tensione gioiosa. Non ha particolari nemici…”.
Non vorremmo farne la conoscenza? O lo giudicheremmo un orrendo invasore da respingere e magari sterminare?
Devo però aggiungere che sentimenti comunitari troppo ribaditi e una pronunciata inclinazione alla mitezza li avverto anche come eccessivi in un tempo in cui la brutalità sembra dilagare. Ma quando si manifestano, in quella che ci sembra la realtà, o si affacciano nella nostra fantasia desiderante, credo che ci si debba predisporre all’ascolto.
Sono giorni in cui le donne manifestano in tutto il mondo contro la violenza di noi uomini, e di questo insopportabile scandalo si discute in molte occasioni (forse persino troppe, visto il successivo diradarsi, passato il 25 novembre?). L’ultima citazione, a proposito dell’ascolto, è da un testo femminista, dove si consiglia di ascoltare con attenzione anche il nostro stesso sentire: “Ci capita di sentire, non possiamo sottrarci: è come se la nostra anima fosse sensibilmente aperta e segnata dall’accadimento di cui non abbiamo ancora conoscenza. Percezione, tracce di conoscenza e affettività sono coinvolte in quel sentire che ci tocca senza che l’abbiamo progettato” (Chiara Zamboni nel volume collettivo La carta coperta. L’inconscio nelle pratiche femministe, 2019 Moretti &Vitali). Il suggerimento è quello di una politica basata sull’esperienza, senza cancellare o banalizzare i sentimenti e i rimossi che ne fanno parte. Senza respingere le novità difficili che ci si mostrano: forse un Dio vuole avvertirci di una cosa molto importante.

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