Pubblicato sul manifesto il 16 luglio 2019 –
L’intervista di Putin al Financial Times ha fatto già molto discutere. Contiene cose rilevantissime – sullo scenario internazionale molte opinioni dell’intervistato mi sembrano anche ragionevoli – ma torno sul punto che “ha fatto notizia”, il giudizio sulla democrazia liberale. Putin dice che “l’idea liberale è diventata obsoleta” perché non affronta adeguatamente il problema delle migrazioni e il fallimento del “multiculturalismo”. Aggiunge che “è entrata in conflitto con gli interessi della stragrande maggioranza della popolazione”. Si occupa dei diritti delle minoranze sessuali (LGBT) e mette “in secondo piano la cultura, le tradizioni e i valori familiari tradizionali di milioni di persone (…) Abbiamo forse dimenticato che viviamo in un mondo basato sui valori biblici?”. Inoltre il presidente russo sa che la globalizzazione, se ha favorito la Cina diminuendone la povertà, ha danneggiato la classe media americana (e non solo americana), favorendo l’ascesa di Trump (e di altri simili a lui).
Mi sembra che molte delle risposte di chi si sente più parte della cultura liberale non siano all’altezza della sfida.
Ieri (lunedì 15), a proposito dell’imbarazzante (come minimo) faccenda russa in cui è inciampato Salvini, Angelo Panebianco si chiedeva sul Corriere della Sera come mai in occidente montino tante simpatie per la Russia di Putin: “cosa c’è di marcio nel nostro sistema” da spingere tante persone verso quelle idee? Dopo varie tergiversazioni interrogative Panebianco approda a questa risposta: forse non è gradita proprio “la libertà”, che sarebbe una cosa “innaturale”, di cui si ha paura, preferendo affidarsi al comando di un altro…
Che la libertà liberale non stia mantenendo le sue promesse -addirittura sulla ricerca della felicità per ognuno – è un sospetto che sembra non sfiorare l’editorialista del Corriere.
Eppure proprio sotto il suo commento un articolo di Riccardo Viale ci informa di come i più accurati metodi di misura del “benessere” delle persone – che non sempre coincide con quello economico (il quale comunque non va certo al meglio) – dicano che la curva proprio in Italia (buona compagna di Grecia e Egitto) nel decennio 2004-2014 si sia inabissata.
La “gente” non si sente bene, si arrabbia, non ha affatto la sensazione di godere di quella “libertà”, materiale e spirituale, che certi liberali danno per scontata acquisizione dalle nostre parti.
Risposte più convincenti – per restare alla giornata di ieri – non si troverebbero nel peraltro lungo resoconto di un colloquio con Tony Blair scritto da Paolo Peduzzi sul Foglio. L’ex premier britannico non ha dubbi sul fatto che il liberalismo vincerà sicuramente contro il Putin-pensiero. Quanto al come ci riuscirà, si resta nel vago, salvo riproporre l’ossessione che solo dal “centro” si potrà favorire il “cambiamento”, declinato soprattutto in vista dell’ineluttabile rivoluzione tecnologica.
Blair ripete molte volte che bisogna agire politicamente con cura, “carefully”, è contrario alla Brexit, ma confida persino nell’intelligenza di Boris Johnson. Con gli immigrati serve più “controllo”. E non manca la perla: i paesi poveri dell’Africa così come la Libia e il Medioriente devono essere “stabilizzati”. Su questo lui, Blair, si è impegnato in una “grande opera di sensibilizzazione in occidente”. La maggiore “cura” però sembra quella di non ammettere alcun errore nel passato, a cominciare da quella guerra nel Golfo (e poi in Libia) madre di molti degli attuali orrori globali.
Se le idee liberali sono queste temo che, con o senza rubli agli amici, Putin farà altra strada.