PORTRAIT OF A LADY ON FIRE – Film di Céline Sciamma. Con Noémie Merlant, Adéle Haenel, Valeria Golino, Luàna Bajrami, Francia 2019. Musiche di Jean-Baptiste de Laubier e Arthur Simonini –
Il film “Portrait of a Lady on Fire” ha ottenuto il premio per la migliore sceneggiatura a Céline Sciamma, oltre al Queer Palm, al Festival di Cannes 2019. Lo sguardo femminile della regista è delicato e attento, non tralascia alcun dettaglio della villa, grande ma spartana, dove la vicenda ha luogo. Siamo nel 1770 in un’isola sulla costa normanna, dove approda Marianne (interpretata da Noémie Merlant), una giovane pittrice figlia d’arte, che deve fare un ritratto a Héloïse (un’intensa Adéle Haenel), senza però farsene accorgere. La ragazza, uscita da pochissimo dal convento, deve andare in sposa a un nobile italiano, destinatario del ritratto, che non conosce affatto. Héloïse pertanto è molto contrariata perché non ha la possibilità di scegliere, lei che ama solo la musica e cantare in chiesa. E pensare che conosce solo la musica per organo! La sorella più grande – era lei che sarebbe dovuta andare in sposa – era appena morta accidentalmente cadendo (ma probabilmente buttandosi…) dalle alte scogliere.
Nella villa si trova anche la contessa (Valeria Golino), madre di Héloïse, che va e viene e l’unica donna di servizio (Luàna Bajrami) che lavora lì già da tre anni.
Così Marianne si finge dama di compagnia, e accompagna Héloïse nelle passeggiate. La scruta di nascosto cercando di memorizzarne ogni dettaglio, dai lobi delle orecchie alle nocche delle mani. La sera a casa inizia a dipingerla a memoria. Ma in questo rapporto in crescendo nasce man mano qualcosa: curiosità reciproca, confronto, desiderio? Ne nasce innanzitutto una relazione di complicità e comprensione reciproca che si trasformerà in un forte legame affettivo.
Lo scenario mostrato dalla regista è un “coro di donne” – come quelle che cantano nella festa paesana – dove vigono la collaborazione e la solidarietà. Di notevole impatto è la scena dell’aborto, ad opera di una mammana, di Sophie sdraiata sul letto tra due bambini piccolissimi.
Un film di sentimenti al femminile dunque dove le riprese, ad eccezione delle immagini di scogliere, sono tutte nell’interno della casa dove le donne, per definizione, sono destinate a vivere. Un film di sole donne, mentre gli uomini sono fuori, di là, da un’altra parte.
In effetti, una volta era così – fino a mezzo secolo fa – le scuole dalle suore e il convento erano i mondi tutti al femminile dove, specialmente le adolescenti, poi giovani ragazze, crescevano e vivevano le proprie pulsioni sessuali ed emotive.
Un ruolo importante nella vicenda lo svolge la musica come fonte di grande emozione, ed è citato in particolare Vivaldi – la regista è di padre italiano e spesso fa riferimento all’Italia – con le sue Quattro Stagioni. Un altro elemento del film degno di nota è la preparazione figurativa della regista – come rilevava la mia compagna di cinema – che sembra rifarsi sia alla pittrice francese Adélaïde Labille-Guiard che a Elisabeth Vige Le Brun, ritrattista ufficiale settecentesca.
La prima parte del film è coinvolgente ed è diretto quasi fosse un thriller, lo si segue con suspense, che però purtroppo svanisce nella seconda parte dove il lentissimo scorrere dei giorni di amore dichiarato, non riesce ad entusiasmare più di tanto.
Comunque, dopo aver visto recentemente tutti film sull’amore omosessuale maschile (“Rocketman”, “Dolor y gloria” e “The marriage”) qui, nella rappresentazione dell’amore saffico si apprezza la mano leggera di Céline Sciamma che preferisce alludere più che mostrare, rendendo espliciti i sentimenti con estrema naturalezza e sensibilità. La regista, che è anche sceneggiatrice, è al suo quarto lungometraggio, tutti concentrati sulla ricerca di un’identità sessuale.