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Microcritiche / Sopravvivere a Beirut

3 Maggio 2019
di Ghisi Grütter

CAFARNAO – Caos e miracoli – Film di Nadine Labaki. Con Zain Alrafeea, Yordanos Shifera, Boluwatife Treasure Bankole, Kawsar Al Haddad, Fadi Youssef, Nour El Husseini, Haita “Cetra” Izzam, Alaa Chouchnieh, Libano, USA 2018. Fotografia di Aoun, colonna sonora di Khaled Mouzanar –

L’area metropolitana di Beirut oggi conta circa due milioni di abitanti (quelli censiti), la metà dell’intera popolazione libanese. È la capitale dell’accoglienza, dove confluiscono molti profughi armeni, siriani, palestinesi e, in passato, anche gli ebrei cacciati dai paesi arabi. Il porto di Beirut è un punto di scambi internazionali essendo il più importante del Mediterraneo orientale. Ha una tradizione di città cosmopolita ed è vivace dal punto di vista economico bancario e finanziario. È stata più volte distrutta e ogni volta si è ripresa, specialmente dopo i quindici anni (dal 1975 al 1990) durante i quali è stata teatro della guerra civile tra cristiano maroniti e musulmani. Beirut è anche un importante centro culturale e accademico del Medio Oriente e sede della United Nations Economic and Social Commision for Western Asia.
“Capernaum” (il titolo originale del film) si apre con le immagini aeree dei bassifondi sovraffollati di Beirut, senza alcun segno delle viste turistiche che si affacciano sullo scintillante Mar Mediterraneo. Il film, di fatto, fornisce l’occasione di uno slice of life anche su varie umanità che vivono in questo contesto, e sulla problematica dei loro rapporti.
In questo quadro, la regista Nadine Labaki segue le vicende di Zain (Zain Alrafeea), un bambino sans papier nato e cresciuto a Beirut in una famiglia poverissima che si arrabatta per sopravvivere. Dovrebbe avere circa dodici anni, e sei o sette fratelli. La sua famiglia ha un tetto in una specie di appartamento, dato dal libanese Assaad (Nour El Husseini), dove quei pochi tubi che passano lì perdono acqua e si dorme tutti stipati sopra vecchi materassi rotti appoggiati a terra. Nessuno dei bambini ha il permesso di andare a scuola perché deve aiutare i genitori (Kawsar Al Haddad e Fadi Youssef) svolgendo vari lavoretti, come ad esempio preparare gli oppioidi affinché la madre possa venderli. Zain e la sorellina Sahar (Haita “Cetra” Izzam) più piccola di lui solo di un anno, confezionano anche delle bevande preparate da Assaad, che vendono per la strada.
Dopo che Sahar, appena ha le prime mestruazioni e raggiunge la pubertà, viene data in matrimonio ad Assaad in cambio dell’affitto, di due galline e altre cortesie, Zain, disperato per la separazione, si ribella a quella vita in cui i figli maschi vengono maltrattati e le figlie femmine barattate. Fugge da casa e attraversa varie vicissitudini. Arriva al Luna park vicino al mare dove, in cerca di cibo e lavoro, conosce Rahil (interpretata dall’attrice Yordanos Shifera), una ragazza etiope clandestina, costretta a nascondere il figlio piccolo Yonas (Boluwatife Treasure Bankole), la quale lo ospita da lei in un rifugio di lamiera. Rahil lo tratta amorevolmente come un altro figlio e Zain in cambio guarda Yonas durante il giorno, mentre lei va a lavorare. È bravo, abituato a occuparsi dei suoi veri fratellini e Yonas ci si affeziona.
Purtroppo un giorno Rahil viene arrestata in una retata di clandestini e Zain si ritrova a dover sopravvivere con il bimbo piccolo che ha appena imparato a reggersi sulle sue gambe. A un certo punto, in cerca di cibo, Zain finge persino di essere un rifugiato siriano, così da poter convincere un’agenzia di aiuti a dargli latte in polvere e pannolini. Ciò mostra che esistono perfino delle gerarchie tra le vittime in una città di bisognosi.
Zain finirà per rivolgersi all’infido Aspro (Alaa Chouchnieh) che gli promette di dare Yonas a una famiglia per bene, e di far imbarcare lui per la Turchia o per la Svezia, come preferisce. Finito in prigione, dopo aver casualmente rincontrato Rahil, Zain finirà per denunciare Aspro che si scoprirà essere un piccolo ras che gestiva un traffico di essere umani, così che il piccolo Yonas sarà riconsegnato alla madre in lacrime.
Nadine Labaki (regista e attrice) usa un montaggio non lineare che parte dalla scena del tribunale e attraverso vari flash back spiega come mai il bambino si trovi lì e perché denunci i genitori, “colpevoli” di averlo fatto nascere in tale miseria materiale e umana.
I temi trattati, con la macchina a mano che non molla mai il protagonista, sono molteplici: quelli della sovrappopolazione, in particolare della riproduzione di figli per i quali non si può avere cura, dei diritti negati dell’infanzia, della vendita esseri umani, delle spose bambine, della difficoltà del vivere quotidiano in una città considerata la più colta e la più occidentale di tutto il medio-oriente. Argomenti molto dolorosi che sono la base sulla quale imbastire la dura battaglia di un bambino che vuole rivendicare al mondo la propria esistenza.
Per girare questo film la regista ha utilizzato un cast di attori non professionisti e tratto spunto dalle loro vite. In “Cafarnao” i confini tra realtà e finzione sono sfumati, un po’ come ha fatto Jonas Carpignano in “A Ciambra” del 2017 con una famiglia Rom insediatasi nella periferia di Gioia Tauro. Nadine Labaki assieme al marito Khaled Mouzanar musicista, hanno ottenuto con queste riprese, che la United Nations High Commission for Refugees si interessasse al caso di Zain e della sua famiglia, i quali sono stati portati in Norvegia dove vivono a tutt’oggi.
La regista è la prima donna araba a essere candidata a un Golden Globe. Ha già diretto “Caramel” nel 2005, “E ora dove andiamo” del 2011. “Cafarnao“, è stato presentato in anteprima al Festival di Cannes 2018, dove è stato osannato, ma ha anche subito dure critiche, accusato di spettacolarizzazione della povertà e di retorica. In effetti, attraverso l’uso dei primi piani, del rallentato, dei cori e degli archi, enfatizza il tema, sottolineandolo con vigore. Ciononostante il film ha ottenuto una nomination agli Oscar 2019.

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