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Microcritiche / Si può anche ridere nel dramma mediorientale

30 Maggio 2019
di Ghisi Grütter

TUTTI PAZZI A TEL AVIV – Film di Samed Zoabi. Con Kais Nashif, Lubna Azabal, Maisa Abd Elhadi, Nadim Sawalha, Salim Dau, Yaniv Biton, Amer Hlehel, Yuosef Joe Sweid, Ashraf Farah, Ula Tabari, Israele, Belgio Lusseburgo, Francia, 2018, fotografia Laurent Brunel, musiche André Dziezuk, fotografia Christina Schaffer-

Tutti pazzi a Tel Aviv” è una commedia satirica divertente che ha il merito di parlare di cose drammatiche in maniera allegra, e così persino nel trattare il Medioriente si può trovare il modo di far sorridere.
Salam (interpretato dal bravo Kais Nashif) è un ragazzo poco attendibile e con poca voglia di lavorare. Lo zio sceneggiatore gli offre un lavoro nel suo team a Ramallah, in Cisgiordania, dove sta producendo una soap opera di successo. Il telefilm è incentrato su una ragazza di nome Manal (l’attrice belga Lubna Azabal), una spia millantatasi ebrea francese sotto il falso nome di Rachel Ashkenazi, che cerca di sedurre il generale israeliano Yehuda (Yuosef Joe Sweid,) con la scusa di aver aperto un ristorante francese a Tel Aviv, ma in verità per carpirgli informazioni preziose.
La fiction è retrodatata nel 1967, poco prima dello scoppio della Guerra dei Sei Giorni. Salam, considerato l’esperto della lingua ebraica, viene utilizzato per dare qualche suggerimento come dialect coach. Vivendo a Gerusalemme ma lavorando a Ramallah, anche se a soli 18 km, deve attraversare due volte ogni giorno il blocco israeliano – non ricorda un po’ il recente “Torna a casa, Jimi” di Marios Piperides? – che divide la Cisgiordania e la Striscia di Gaza con lo Stato ebraico, sotto il rigido controllo dei documenti del comandante Assi (Yaniv Biton). Una volta a tu per tu con lui per darsi importanza, Salam dichiara di essere lo sceneggiatore della soap opera. Non lo avesse mai fatto!!!
La moglie del comandante è una fan della soap opera, Assi inizia a suggerire a Salam, poi a imporre, sviluppi ulteriori e un finale di suo gradimento (con la scusa che piace alla moglie). Così Salam riuscirà a convincere il vecchio zio di dargli delle possibilità della scrittura di alcuni episodi della fiction. Lo zio è una bella figura di cinefilo novecentesco il cui riferimento cinematografico principale è Il “Mistero de falco” di John Huston del 1941, con Humphrey Bogart.
In “Tel Aviv brucia” – il nome della soap opera – i buoni dovevano essere i palestinesi che si sarebbero liberati degli occupanti. Salam si troverà quindi costretto a districarsi tra i vari desiderata: l’attrice protagonista che non si sente sufficientemente gratificata, l’autrice Sarah è furiosa perché il telefilm sembra essere diventato sionista solo per aver introdotto la parola shoah, l’aspirante attricetta voleva che Manal morisse di cancro per diventare lei la nuova protagonista, l’altro attore che interpreta Marwan (Ashraf Farah), l’arabo partigiano che ama Manal, rivendica il suo ruolo di figura-chiave.
Ma Assi pretende che Manal e il generale Yehuda si amino realmente e perfino che si sposino nel finale. Come fare? A chi dare retta?
Il risultato è che Salam impara il mestiere di scrittore, riesce a “stare seduto più di 5 minuti”, e riconquista anche Miriam, la sua bellissima ex fidanzata (Maisa Abd Elhadi). Qua e là il regista inserisce frammenti di ricordi di una vita passata difficile, come ad esempio, quando Salam confessa di odiare l’hummus perché, quand’era piccolo nel periodo dell’intifada, era l’unico cibo in scatola che avevano per mangiare. Un paio di volte viene anche citato con scetticismo il patto di Oslo del 1993.
L’unico neo del film, a mio modesto avviso, è che è tutto girato in interni e non abbiamo quindi la possibilità di apprezzare, conoscere meglio, e distinguere bene, le due realtà in conflitto.
Samed Zoabi, al suo secondo lungometraggio, ha scritto la sceneggiatura con Dan Kleinman, descrivendo situazioni che conosce benissimo, e lo fa con ironia e padronanza del mezzo. Nato nel 1975 in un piccolo villaggio vicino a Nazaret, studia cinema (e letteratura inglese) all’Università di Tel Aviv, poi alla Columbia University of Fine Arts. Esordisce con un corto nel 2006 e nel 2011 “Man Without Cellphone” un film che è un racconto delle frustrazioni di una famiglia palestinese in un territorio israeliano. “Tutti pazzi a Tel Aviv” è stato presentato nella sezione Orizzonti del Festival di Venezia del 2018, dove Kais Nashif ha ottenuto i riconoscimento come Migliore Attore.

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