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relazioni politiche, dal quartiere al mondo

La differenza di Jacinda Ardern

24 Marzo 2019
di Letizia Paolozzi

Jacinda Ardern, giovane leader laburista, primo ministro neozelandese, evita parole che siano portatrici di minaccia e tempesta quando dice, riferendosi all’attentato contro due moschee di Christchurch: ”Molte delle persone colpite potrebbero essere migranti o rifugiati che hanno scelto di fare della Nuova Zelanda la loro casa. Ed è la loro casa. Sono noi. La persona che ha perpetuato questa violenza contro di noi non lo è”.
In Italia non esiste quel “noi siamo loro e loro sono noi”.
Un’eccezione, dalle parti di Crema, sulla Paullese, quella di Rami, figlio di egiziani, nato in Italia nel 2015. Non aveva la cittadinanza italiana. Forse la otterrà per aver chiamato il 112 e salvato i compagni sul bus.
Adesso che si è dimostrato un ragazzo sveglio (con lui Samir che il cellulare l’ha nascosto, i compagni che piangendo e gridando coprono la telefonata ai carabinieri, la bidella che non lega troppo strette ai polsi dei piccoli viaggiatori le fascette di nylon), trasformato in eroe (Stefano Cappellini su “Repubblica” del 21 marzo), avrà diritto, in via del tutto eccezionale, a diventare cittadino italiano.
Senza preoccuparsi di confini e residenze, Jacinda Ardern onora chi è arrivato dall’India, Pakistan, Afghanistan per cercare pace e ha trovato la morte. Ripete: “Erano neozelandesi, sono noi”.
Nel suo Paese di 4,8 milioni, vivono 200 etnie che si esprimono in 160 lingue. Traduttori universali: Facebook e Youtube. Dei quali il suprematista bianco, australiano, aveva deciso di servirsi per diffondere in diretta sul web i diciassette minuti della strage nelle due moschee. L’ha fatto. Ci sono voluti ventinove minuti prima che un utente di Facebook segnalasse il video del massacro. Secondo un articolo su “Le Monde” per la società di Mark Zuckerberg il video è stato visto “duecento volte durante la sua diffusione in diretta e 4000 in totale”. Evidentemente, durante quei ventinove minuti altri utenti internet l’hanno copiato, rilanciato, archiviato.
La violenza, d’altronde, deve esibirsi. Siamo al tempo dei social e non c’è gusto ad ammazzare una persona, innocente per definizione, se tutto avviene di nascosto. I discorsi di odio devono poggiare sulla comunicazione e sull’immagine per iniettare il loro veleno.
Ma Jacinda Ardern vuole impedire alla violenza di svilupparsi. Per questo ha cura delle forme adatte a esprimere tristezza, choc e vicinanza. Forme normali, addirittura elementari ma che escludono paura e risentimento.
Si era presentata all’assemblea plenaria delle Nazioni Unite con la bambina di tre mesi in braccio. Ora, il capo coperto dall’hijab nero, è andata alla veglia di commemorazione dei quarantanove morti. Per onorarli, era coperto anche il capo della poliziotta e delle tante donne di altre religioni che, assieme alle musulmane, hanno affrontato il lutto e la perdita.
“L’unico estremismo che merita di essere attenzionato è quello islamico” ha commentato il ministro degli Interni italiano con un verbo caro alle forze dell’ordine dopo l’attentato di Christchurch.
Se Trump promette aiuti dopo il massacro, Jacinda Ardern lo esorta a dare “simpatia e amore a tutte le comunità musulmane”. Quanto al nome dell’attentatore, si è rifiutata di pronunciarlo per non contribuire alla sua notorietà. Sa che non esiste una soluzione miracolosa per chi decide di portare la morte. Tuttavia, istigare l’odio gli spianerebbe la strada.
L’empatia, la partecipazione, la condivisione ostacolano lo spirito del male e gli impediscono di svilupparsi, nonostante la storia della civiltà sia intrisa di orrori, furie, brutali abiezioni. La prima ministra neozelandese che si definisce “femminista”, ha reagito con durezza a chi le domandava come sia possibile per una donna conciliare la carriera politica con la maternità. “Lo chiedereste a un uomo?”
Noi che osserviamo la schiera dei tanti personaggi ubueschi della politica, dobbiamo confessare il grande stupore di fronte ai gesti, alle espressioni di Jacinda Ardern.

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