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Microcritiche / Bravo operaio, maschio incorreggibile

26 Febbraio 2019
di Ghisi Grütter

LE NOSTRE BATTAGLIE – Film di Guillaume Senez. Con Roman Duris, Laure Calamy, Laetitia Dosch, Dominique Valadié, Lucie Debay, Belgio Francia 2018. Sceneggiatura di Guillaume Senez e Raphaëlle Desplechin –

Uscendo dal cinema riflettevo sul fatto che credevo che i giovani maschi francesi fossero oggi un po’ più sensibili di quanto mostrato nel film. Forse però non avevo pensato al fatto che, in effetti, anche in Francia – come in molte altre parti del mondo – esiste ancora un gap culturale tra le persone urbanizzate che vivono nella metropoli e quelle che vivono nelle zone agricole o industriali.
In “Le nostre battaglie” Olivier Vallet – molto bene interpretato da Roman Duris, attore feticcio di Cédric Kaplisch – è un operaio specializzato di una fabbrica hi-tech nel Dipartimento dell’Isére, in Auvergne-Rhône-Alpes. Fa anche parte del sindacato ed è sempre molto preso dal suo lavoro, tanto che torna a casa la sera piuttosto tardi e finisce, in tal modo, per trascurare la moglie Laura e perfino i figli piccoli, Eliot di nove anni e Rose di cinque.
Per contro, sul lavoro è molto apprezzato, è attento ai vari lavoratori, ed essendo un capo-squadra insegna con pazienza a tutti come e cosa devono fare. L’attuale crisi economica però porta a licenziamenti progressivi che toccano, guarda caso, le fasce più deboli: raggiungerà l’operaio di cinquantaquattro anni che non può ricostruirsi una vita, e la ragazza incinta, che non vedrà rinnovato il suo contratto di lavoro. Olivier è sempre il primo ad arrivare là dove c’è da lottare e dove c’è un problema, talvolta purtroppo troppo tardi, come nel caso del compagno di fabbrica che, disperato, si è tagliato le vene.
Un giorno improvvisamente Laura, la moglie di Olivier, pur amando lui e i bambini, decide di andarsene, così senza dire nulla: non ne poteva più di non sentirsi sufficientemente amata, di una vita soffocante di sacrifici, di essere contornata da tutte persone in miseria o sofferenti.
Da quel momento in poi Olivier si trova a fronteggiare problemi fino allora ignorati, specialmente per ciò che concerne la vita dei figli e la gestione della casa. Non si dà pace per il gesto inspiegabile della moglie e la cerca in vari luoghi. Non riesce a trovare nulla, lei, dopo due mesi di silenzio, ha mandato solo una cartolina indirizzata “Alla famiglia Vallet”, forse per far sapere che è viva e che ama tutti quanti. Olivier va a cercarla perfino negli ospedali di Calais, da dove aveva spedito la cartolina e dove aveva vissuto da piccola.
Il film quindi prende una piega intimista e arriva Betty, la sorella attrice di Olivier, ospite per qualche giorno per festeggiare il nono compleanno di Eliot. La madre e la collega di Olivier cercano di dargli una mano, anche se lui è molto ostinato e difficile da trattare. È sempre chiuso in se stesso, reprime il suo dolore, evita di parlare della fuga della moglie, con la scusa che i bambini è meglio che non ci pensino altrimenti soffrono… Belli sono i dialoghi/scontri tra fratello e sorella, legati da grande affetto, ma completamente diversi nelle scelte di vita, differenze che purtroppo vengono fuori e si rinfacciano l’un l’altro, come succede in tutte le famiglie. Così pure ci saranno tensioni tra lui e la madre troppo ansiosa.
A un certo punto, Olivier e i due figli andranno perfino da una psicologa perché, avendo tutti subìto il trauma dell’abbandono, ognuno presenta un sintomo diverso (la figlia Rose ad esempio ha smesso di parlare) e ha bisogno una psicoterapia di sostegno per affrontare l’assenza.
A livello lavorativo gli verranno offerti due lavori agli antipodi: uno in fabbrica alle risorse umane (la struttura che si occupa della programmazione del personale e quindi anche dei licenziamenti) con un notevole aumento di stipendio, l’altro come rappresentante sindacale, ma lontano, a Tolosa. Sciolti vari dubbi, i tre andranno a vivere a Tolosa dove c’è l’industria di alta tecnologia e le industrie chimiche. Quella di Olivier è una scelta di cambiamento – un’altra città, un’altra casa, un altro lavoro – ma è anche una scelta etica, perché crede ancora nelle battaglie sindacali.
Il film triangola la Francia su tre luoghi, ognuno all’estremo confine dall’altro, evitando accuratamente Parigi. Sono luoghi di lavoro usuranti, sono città portuali o zone industriali.
Nella seconda opera del regista belga – la prima era “Keeper” del 2015 premiata a Locarno e a Torino – la narrazione è misurata non c’è nessun tono pietistico, anche perché, in fondo, la cocciutaggine del maschio fa a volte più rabbia che pena, come dice Federico Pedroni in Cineforum, «mischia debolezze e ruvidità».
La cinematografia francese recente mostra tematiche relative alla crisi economica e sociale: disoccupazione, licenziamenti, fragilità famigliare e uomini tutti d’un pezzo (ma a caro prezzo!). Così anche il recente “In guerra” di Stéphane Brizé, un film militante che tratta delle lotte operaie dei lavoratori della fabbrica Perrin ad Agen, nel Sud Ovest della Francia. In quel film la fabbrica sta per essere chiusa e delocalizzata in Romania e 1100 lavoratori stanno per essere licenziati, in una Regione economicamente in crisi.
Le nostre battaglie” si apre con la canzone Oh Baby di LCD Soundsystem del 2017 e si chiude con Heaven di Blaze del 2018, entrambe significative. Il film è stato presentato in anteprima a Cannes, nella sezione “Semaine de la critique” e ha ottenuto il premio Cipputi al Festival di Torino. Roman Duris è candidato come migliore attore al premio César 2019.

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