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Microcritiche / Maschi vigliacchi nel Messico anni ’70

20 Dicembre 2018
di Ghisi Grütter

ROMA – Film di Alfonso Cuaròn. Con Yalitza Aparicio, Marina de Tavira, Fernando Grediaga, Daniela Demesa, Latin Lover, Nancy Garcìa Garcìa, Jorge Antonio Guerrero, Marco Graf, Andy Cortès, Clementina Guadarrama, Nicolàs Perès Taylor Felìx, Josè Manuel Guerrero Mendoza, Messico 2018. Fotografia di Alfonso Cuaròn e Galo Olivares, musiche di Steven Price-

“Roma” è un bel film in bianco e nero che narra un anno di vita di una famiglia borghese messicana, visto attraverso gli occhi di Cleo, la domestica mixteca. Alle vicende della famiglia, fanno da sfondo i contrasti sociali che in quegli anni hanno sconvolto il Paese.
Siamo nel 1970 a Mexico City, nel quartiere residenziale Colonia Roma costruito nel centro della città agli inizi del XX secolo. La zona è costituita da casette a due piani abitate da professionisti benestanti: nel nostro caso Antonio è un medico che lavora in ospedale mentre Sofia è una biochimica. Con loro vive anche nonna Teresa, la madre di Sofia. Hanno quattro figli, tre maschietti e una femminuccia. Il dott. Antonio però non è soddisfatto della sua vita affettiva, si mette con un’altra donna più giovane e, con il pretesto di svolgere una ricerca a Ottawa, se ne va da casa prospettando un’assenza di qualche settimana. La giovane Cleo, oltre a fare le pulizie di casa, accudisce i figli come fossero i propri: li sveglia, li veste, li va a prendere a scuola, ci gioca, li mette a letto e così via, e loro le sono molto affezionati.
Contemporaneamente, nella vita parallela dei “piani bassi”, Cleo conosce Fermìn il cugino di Ramon, fidanzato con Adela, l’altra domestica. Nasce una storia apparentemente di passione e lei rimane incinta. Al cinema, dove sono andati a vedere “Tre uomini in fuga” di Grard Oury, lei gli comunica di avere un ritardo e lui sparisce nel nulla, nella maniera più vigliacca, e non risponderà mai a tutti i suoi messaggi. L’unica cosa che Cleo sa di lui è che è un maniaco delle arti marziali e che lo hanno assorbito totalmente ma anche salvato da una vita di droghe e dipendenze.
Così le due donne – «alla fine siamo sempre sole» dice Sofia a Cleo – con i bambini, passeranno il Natale dagli zii e il Capodanno nell’hacienda di amici e qui il regista rappresenta, con dovizia di dettagli, la vita sfarzosa dei latifondisti messicani con i loro svaghi.
C’era appena stata in Messico la Coppa del mondo Rimet, di cui si ricorda la famosissima Italia – Germania, detta “la partita del secolo” (vinta 4-3 dall’Italia in semifinale allo Stadio Atzeca di Città del Messico) e quelli erano anche anni di grandi tensioni sociali e di rivolta, in Messico come nel mondo. La strategia della paura aveva già avuto come palcoscenico la strage di studenti in piazza Tlatelolco nel 1968 e innumerevoli altri episodi meno conosciuti. Nel film, mentre nonna Teresa e Cleo sono a scegliere la culla per il futuro nascituro, il 10 giugno del 1971, avverrà sotto i loro occhi, l’aggressione – chiamata poi El Halconazo o il massacro del Corpus Domini – agli studenti, che manifestavano in sostegno a quelli di Monterrey, da parte del gruppo paramilitare Los Halcones a servizio dello Stato. Il neo-eletto presidente Luis Echeverrìa Alvarez (dal 1970 al 1976) aveva annunciato riforme di apertura democratica nel paese, permettendo il rientro di alcuni leader del Movimento studentesco del 1968 esiliati in Cile, e la liberazione di altri. Ma così poi non fu.
Lo shock di aver visto tra i violenti repressori il padre del bimbo che le ha anche puntato una pistola contro, fa rompere le acque a Cleo che, portata urgentemente in ospedale ma con fatica dati gli ingorghi di traffico, dove l’aiuteranno a far nascere la neonata che purtroppo non darà segno di vita. Cleo è distrutta dal dolore e dai sensi di colpa in quanto a tratti aveva desiderato che la bimba non nascesse.
La parte conclusiva del film vede la reazione energica di Sofia che porta tutti sulla spiaggia di Veracruz per un paio di giorni e comunica ai figli di aver trovato un nuovo lavoro in una biblioteca e rivela la separazione definitiva da Antonio che in quel preciso momento è a portar via le proprie cose dalla casa di Città del Messico .
Dedicato a Libo, la tata di Cuaròn, il film è autobiografico. Per non rovinare la purezza del ricordo, il regista si è servito di attori non professionisti che scoprivano l’intera sceneggiatura giorno per giorno, sulla scena, con l’obiettivo di ottenere emozioni spontanee e sincere sul set.
All’epoca anche in Italia la crescita dei bambini borghesi era affidata alle tate, ragazze povere di provincia o di campagna che andavano a vivere con le famiglie in città. Da un lato erano sfruttate, dall’altra si costruiva un rapporto affettivo e loro entravano a far parte della famiglia. Ad esempio, quando Cleo rimane incinta e lo comunica alla “padrona”, la signora Sofia e sua madre si prendono cura di lei e l’accompagnano dalla ginecologa, senza pensare un attimo al fatto che non fosse sposata.
Il regista nel film tratteggia i maschi come persone codarde che evitano le responsabilità, presenta invece due donne coraggiose: una, apparentemente fragile, ha la forza di reagire anche alle difficoltà economiche dovute anche alla doppia vita del marito, l’altra che mostra sempre una grande dolcezza, va fino in fondo alla ricerca del padre del nascituro. Anzi quella trovo che sia una delle scene più belle del film: Cleo si reca da Fermín durante una lezione di arti marziali in una landa desolata dove avviene il reclutamento. Lo aspetta, gli dichiara che il figlio è suo, ma lui la rifiuta insultandola.
Un’altra scena molto bella è quella del bucato sui terrazzi, dove si vede l’altra faccia delle case borghesi. Divertente è anche l’ingresso dell’enorme Galaxy, una vecchia Ford di quegli anni, nell’androne adibito a garage, tra le cacche del cagnolino trascurato e che nessuno fa uscire.
Il film presenta una grande attenzione ai suoni, voci e rumori, una fotografia perfetta, e uno studio maniacale della messa in scena, una descrizione scrupolosa dell’interno della casa arredata con cura e piena di librerie, separata dalle stanze della servitù da una porta a vetri, e dello scalone che ne è il vero centro. “Roma” è stato premiato con il Leone d’oro al Festival di Venezia, ha ottenuto tre candidature ai Golden Globes e rappresenta il Messico agli Oscar 2019.

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