Pubblicato sul manifesto il 18 dicembre 2018 –
A quanto pare prima di Lenin e di Gramsci (la definizione, com’è noto, è sua) la “rivoluzione contro il Capitale” l’aveva fatta – o quantomeno prevista – lo stesso Marx, che negli ultimi anni della sua febbrile ricerca si poneva molti interrogativi sulla realtà secondo cui il modo di produzione capitalistico si sarebbe esteso alle aree del mondo distanti dall’epicentro occidentale – l’Inghilterra – della rivoluzione industriale. L’ho ascoltato da Marcello Musto – autore di una nuova biografia dell’autore del Capitale, edita da Einaudi – al convegno “200 Marx. Il futuro di Karl”, tenuto al Macro di Roma, per iniziativa di associazioni e fondazioni italiane e europee, e della rivista Critica Marxista. In alcune lettere destinate alla rivoluzionaria russa Vera Zasulic, Marx respingeva l’idea che l’avvicendarsi dei modelli di società, dallo schiavismo, al feudalesimo, al capitalismo e quindi al socialismo, dovesse intendersi come una linea evolutiva meccanicamente stabilita, e non escludeva che formazioni sociali comunitarie proprie di civiltà precapitalistiche potessero rivivere e anzi arricchire la realizzazione del socialismo e del comunismo.
Insomma, coerente al suo non considerarsi “marxista”, Karl era attento al concreto divenire storico e ai risultati delle ricerche scientifiche del suo tempo. A leggerlo bene, si trovano già nelle sue domande gli anticorpi necessari a evitare letture deterministiche e dogmatiche che hanno falsato tragicamente il suo pensiero.
La rinascita di interesse per Marx, indotta dalla crisi capitalistica esplosa nel 2008, si accompagna a questo tipo di letture liberatorie. Per Marina Montanelli, giovane filosofa e curatrice di una riedizione del Manifesto del partito comunista, oltre che impegnata nel movimento femminista Non una di meno, Marx resta vivo proprio perché ci autorizza a “profanarlo”, nel senso letterale (profano, dal latino pro: presso, vicino e fanum: tempio, recinto sacro) cioè a riportarlo tra noi fuori dal tempio, alla larga da ogni irrigidimento ideologico o di tipo “religioso”.
Ma vedo che sto scrivendo troppo sul vecchio di Treviri.
Volevo solo farne uno spunto per parlare di un’altra cosa, tuttavia non estranea alla ricerca di libertà che anche una corretta rilettura di Marx sostiene. Chi vuole approfondire il convegno (tre giornate di dibattito) che ho citato, può trovarne la registrazione integrale sul sito di Radio Radicale. Dove esiste forse il più ricco archivio facilmente consultabile della storia politica, culturale e istituzionale di questo paese.
Ora i gerarchetti del governo “del cambiamento” intendono tagliare i contributi pubblici per il pluralismo dell’editoria, cosa che creerebbe difficoltà insormontabili non solo a Radio Radicale, ma a tantissime altre esperienze importanti, tra cui quella di quotidiani come il manifesto e il cattolico Avvenire. A parte l’altalena quotidiana tra neostatalismo e neoliberismo degli attuali governanti, c’è da registrare l’ultima perla (nera) dell’ineffabile Salvini, indirizzata a Avvenire: le testate che vogliono scrivere “cose strane” (sic!) – ha dichiarato – si trovino lettori “nel mercato”. Cose tipo questa (in un commento di Maurizio Ambrosini dopo la sentenza sui bambini stranieri discriminati a Lodi): “…brandire slogan come «prima gli italiani» è un inganno a danno dei cittadini-elettori. La politica che sfrutta il rancore e alimenta contrapposizioni sociali, anche prescindendo da valutazioni di natura etica, di fatto promette misure semplicemente impossibili da attuare secondo l’ordinamento vigente”. Strano, ma vero.