Pubblicato sul manifesto il 31 luglio 2018 –
Dopo aver citato De Gasperi in vista della “Terza Repubblica dei cittadini”, il Re Sole ( “Ora lo stato siamo noi…”), dopo l’evocazione di Marat con gli “amici” e gli “avvocati del Popolo”, non può sorprendere più di tanto l’implicito riferimento al presidente Mao ( e ancor più, al suo “fedele compagno d’armi” Lin Piao) con l’annuncio di una “Rivoluzione culturale” alla Rai, pessimo luogo abitato da “raccomandati e parassiti” da sloggiare rapidamente, da parte della cultura politica grillo-leghista.
Uso questo trattino pensando che tra Di Maio e Salvini, e tra quanti li seguono, ci sono certo delle differenze. Ma ciò che sembra accomunarli è l’idea del potere, espressa in una quantità impressionante di scelte e di lapsus linguistici prodotti al ritmo del “twitting” (neologismo che ho scoperto oggi ascoltando la diretta della discussione parlamentare sul cosiddetto “decreto dignità”).
Un potere che, per quanto assunto sulla base delle regole piene di cautele di quella che resta una democrazia rappresentativa, li metterebbe nella condizione di disporre a piacimento di tutto e di tutti. Quello scrittore ci critica e ci importuna? Gli leviamo la scorta e lo quereliamo. Quella cantante durante la “Notte Rosa” si permette di dir male del ministro dell’Interno per come tratta gli immigrati? La si addita sui social come “furbetta” che si permette di manifestare una opinione percependo
(probabilmente) denaro pubblico. Ecco il pensiero non troppo sottinteso: facciamo quello che vogliamo. Senza alcuna considerazione di vecchie ideologie obsolete quali la divisione dei poteri (spetta al magistrato decidere se e come arrestare un cittadino, persino straniero), l’autonomia della cultura o dell’informazione, o semplicemente la buona creanza. Ma che dico, buon creanza. Questo linguaggio fa paragonare dalla cultura cattolica il ministro dell’Interno (dell’Inferno?) al demonio in persona (“Vade retro Salvini….”, ha titolato Famiglia Cristiana ). E il legame che tutti vediamo tra il suo modo di parlare e le violenze razziste che si susseguono sempre più gravi ogni giorno conferma pienamente questo allarme. Di Maio non vede il rischio di derive razziste in Italia: ma si potrebbe rispondergli che anche questa è una emergenza “percepita”, e quindi più vera del reale!
Tuttavia questo orribile impasto politico e linguistico grillo-leghista, non deve accecarci rispetto alle differenze e a quanto meriterebbe di essere discusso, non solo respinto, nel discorso che viene dalle parti del “governo del cambiamento”. Prendiamo la lunga intervista alla Verità di Casaleggio Junior, che tanto – e giustamente – ha fatto discutere per le ambigue allusioni alla prossima probabile scomparsa del Parlamento e della democrazia rappresentativa. Oppure per la nonchalance con cui alla domanda ( di Mario Giordano) sui rapporti tra Associazione Rosseau e Casaleggio Associati si risponde così: “L’unico rapporto riguarda la mia persona, dal momento che sono presidente di entrambe”…. Ma in quel testo ci sono anche osservazioni condivisibili sulla globalizzazione e l’innovazione tecnologica, e sull’esigenza di raddrizzare le enormi disuguaglianze sociali odierne. La critica, da sinistra, andrebbe raffinata, osservando per esempio che nulla viene detto sulla direzione e le finalità dell’innovazione tecnologica, sempre citata come una realtà indiscutibile, oppure sul piccolo fatto che se vengono considerate obsolete parole come “comunismo” e “populismo”, la parola “capitalismo” non viene mai nemmeno citata. Né dall’intervistatore né dall’intervistato.