L’AFFIDO – UNA STORIA VIOLENTA – Film di Xavier Legrand. Con Denis Ménochet, Léa Drucker, Thomas Gioria, Mathilde Auneveux, Mathieu Saikaly, Francia 2017. Fotografia di Yorgos Lamprinos –
“Jusqu’à la Garde, il titolo in originale, affronta il tema scabroso delle violenze domestiche. Il film si apre con l’udienza di una coppia davanti al giudice: l’ex marito Antoine Besson e la moglie Miriam (molto ben interpretati da Denis Ménochet e Léa Drucker), rappresentati dai rispettivi avvocati. L’udienza deve poter stabilire a quale dei due genitori va affidato il figlio minorenne Julien (il bravissimo Thomas Gioria) e fissare, successivamente, i turni di visita. La scena è piuttosto lunga e girata quasi in tempo reale, sia l’esposizione dettagliata della trasposizione dell’interrogatorio di Julien, sia gli interventi dei due avvocati di parte. Per lo spettatore è difficile, in questa prima scena, capire da che parte stare, perché a turno i due contendenti hanno ragione e hanno torto. È Miriam che esagera nel raffigurare l’ex marito come persona pericolosa da cui sfuggire o è Antoine a essere vittima di un comportamento inspiegabile di fuga della ex moglie? Alla fine verrà stabilito l’affido congiunto e che Julien, a week end alterni, li passerà con il padre che è appositamente venuto a vivere lì.
Siamo a Montbéliard, un piccolo villaggio di 27.000 abitanti nella Bourgogne Franche-Comté, nella cui periferia vivono in un piccolo appartamento di un complesso di case popolari, Miriam, la figlia diciottenne Isabelle e il piccolo Julien. Anche le rispettive famiglie di provenienza (i quattro nonni) vivono a Montbéliard.
Julien però non ha voglia di stare con il padre neanche nei brevi periodi stabiliti, gli è ostile e lo ha soprannominato “l’autre” – mal tradotto in italiano con ”quello”. Man mano si capisce che il ragazzino vuole protegge la madre, si intuisce che deve essere stato presente a violenze del padre, e infatti lo implora: «però non picchiare la mamma!». Non gli vuole dare il numero di cellulare di Miriam e addirittura gli mente su dove sia effettivamente la sua reale abitazione.
Il film man mano cambia registro e acquista, in crescendo, un ritmo da thriller che lascia lo spettatore con il fiato in gola. Il regista francese Xavier Legrand descrive progressivamente la psicologia di Antoine, tratteggiandolo come un uomo molto istintivo e troppo possessivo perché riesca ad amare. La sua frustrazione lo porta a essere irascibile e violento e litigherà perfino con suo padre che accoglie lui e il nipotino in casa propria. Una storia quella raccontata nel film come purtroppo ce ne sono tante, in cui il maschio non riesce ad accettare di essere lasciato dalla compagna e, in preda ai fantasmi della gelosia, può commettere qualsiasi sciocchezza. Il milieu è quello della piccola borghesia di provincia, lei vive con un piccolo assegno di disoccupazione e lui ha uno stipendio di poco più di 2.000 euro al mese.
Il regista usa un modo misurato e asciutto di narrare la vicenda, senza spettacolarizzazioni che toglierebbero rigore al controllo del congegno drammaturgico. Il risultato è un’opera dura ma comunque appassionante. Non c’è spazio per la riflessione, non c’è spazio per la pietas, proprio come in un thriller fatto bene. Ma alla fine del film, all’uscita dal cinema fa riflettere e gli spettatori si soffermano a ripensare sia alla violenza che molte donne subiscono, sia al livello di sofferenza di chi la violenza la agisce.
Xavier Legrand esordisce con questo film nel lungometraggio, riprendendo i personaggi (e gli attori) del suo corto “Avant que de tout perdre” già premiato al Festival du Court Métrage de Clermont-Ferrand nel 2013. Con “L’affido – una storia di violenza”, invece, ha vinto il Leone d’argento per la miglior regia e il Leone del Futuro, il premio Luigi De Laurentiis per un’opera prima, al 74mo Mostra Internazionale d’Arte cinematografica Venezia, dove è stato accolto con successo.