FOXTROT – LA DANZA DEL DESTINO – Film di Samuel Maoz. Con Lior Ashkenazi, Sarah Adler, Yonatan Shitay, Yehuda Almagor, Israele, Germania, Francia 2017. Musiche di Amit Poznansky e Ophir Leibovitch, suono di Alex Claude. Fotografia di Giora Bejach-
“Foxtrot – La danza del destino” è un film intenso ed emotivamente impegnativo che parla della casualità delle vite e delle morti e dell’ineluttabilità del fato.
Il film presenta tre episodi della vita di una famiglia israeliana a Tel Aviv. O meglio una tragedia in tre atti. Lui è Michael Feldman, un architetto di successo che ha sposato Dafna (Sarah Adler), una donna più giovane. Dopo un periodo d’innamoramento vissuto in una mansarda sul mare, lei era rimasta incinta e, dopo aver avuto due figli Yonatan e Hannah, si sono trasferiti in un moderno e più grande appartamento. La mamma di Michael, una tedesca ebrea che ha conosciuto gli orrori di Auschwitz, vive in una casa di riposo. Yonatan (Yonatan Shitay), abile disegnatore poco più che ventenne, parte militare (24 mesi per le donne e 36 per gli uomini sono obbligatori) e un giorno Michael e Dafna ricevono l’indicibile notizia della morte del figlio. Lei sviene, viene sedata e per un po’ di ore dormirà, mentre lui ha delle reazioni dolorose di chiusura al mondo alternate a violenti scoppi di rabbia. Qui la macchina da presa svolge un compito importante: oltre ai primi piani, il suo dolore è decritto o con viste all’altezza del pavimento con scarpe e piedi che si muovono ad altezza dello zoccoletto, o con viste dall’alto che lo inquadrano in sfoghi solipsisti e claustrofobici. Infatti, gli mancherà l’aria e uscirà per andare a informare sua madre, che parla solo in yiddish e che, alla fine del colloquio, lo scambia con il fratello Avigdor (Yehuda Almagor).
Ed ecco un primo “plot twist”: nel pomeriggio arrivano due militari che lo informano dell’equivoco: suo figlio è vivo ed è stato uno spiacevole caso di omonimia. In un attacco d’ira Michael pretende che il figlio venga fatto rientrare immediatamente a casa.
Il secondo atto mostra il figlio Yonatan di pattuglia con i suoi commilitoni a un posto di blocco nel Deserto del Negev. Questo quadro forse è il più interessante del film con le sue visioni statiche e con i dialoghi che sono quasi più monologhi. Un grande senso del vuoto è riempito solo dalla danza circolare in quattro tempi del ragazzo, il “foxtrot”, che riporta i passi sempre sulla stessa posizione di partenza. Un notevole senso di squallore pervade questo “middle of nowhere”, dove passa solo qualche isolato cammello e pochissime macchine; l’averci accoppiato la musica e la danza fa raggiungere un effetto totalmente straniante. La paura di un attentato terroristico crea una tensione altissima. Infatti, di notte, da un’auto con quattro ragazzi palestiniani un po’ su di giri, esce una lattina che viene scambiata per una granata e i commilitoni spareranno: l’equivoco ha generato una tragedia. Riagganciandosi all’atto primo, il ragazzo verrà richiamato a casa.
L’ultimo atto, quello più intimista ma forse quello meno riuscito, è proiettato qualche tempo dopo (mesi? anni?). Si evince che Michael e Dafna si siano separati e si rincontrano per commemorare il figlio nel giorno del suo compleanno. Stavolta Yonatan è davvero morto perché l’auto che lo stava riportando a casa ha avuto un incidente: per evitare di prendere in pieno un cammello, è finita nel burrone. Il mio partner di cinema mi faceva notare che il cammello, su cui ritorna più volte la ripresa in modo insistito e surreale, è un segno premonitore del destino. I due coniugi si rinfacciano varie cose, o meglio lei colpevolizza il marito che ha voluto richiamare il figlio a tutti i costi, mentre lui, a sua volta, man mano si apre e ricorda con dolcezza, ma anche tanta amarezza, il passato. Alla fine trovano un po’ di marijuana del figlio in un cassetto e si fanno una canna insieme. Il film termina mostrando i due coniugi (o ex-coniugi che non hanno retto alla disgrazia?) che sembrano invecchiatati di vent’anni e si sostengono come una coppia veterana.
“Foxtrot – La danza del destino” è un film surrealista e drammatico che presenta una commistione di generi: ironico (nelle continue citazioni di vari fumetti), tragico e perfino comico (nel balletto che Yonatan fa nel deserto in coppia con il fucile). Si può dire, però, che in alcuni punti il lirismo formale e il compiacimento di alcune immagini faccia perdere la linearità del racconto.
Samuel Maoz ha realizzato questo film dopo un fatto realmente accadutogli: sua figlia è scampata a un attentato per essere arrivata in ritardo e aver preso l’autobus successivo a quello che è esploso per una bomba. Ciò gli ha dato ispirazione nel trasmettere il senso di precarietà della vita e della casualità della morte che si vive oggi in Israele.
Presentato alla 74esima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia del 2017, il film ha ottenuto il premio per la miglior regia ed è stato selezionato per rappresentare Israele agli Oscar 2018.