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Quando le parole (nel Pci) facevano la differenza

15 Febbraio 2018
di Elettra Deiana

OGGI,GIOVEDÌ 15 FEBBRAIO, IL LIBRO “AL LAVORO E ALLA LOTTA. LE PAROLE DEL PCI” (EDITO DA HARPO), DI FRANCA CHIAROMONTE E FULVIA BANDOLI, VIENE PRESENTATO A BOLOGNA ALLE ORE 18 PRESSO LA LIBRERIA COOP ARCOBALENO IN VIA OREFICI 19.PUBBLICHIAMO UNA RECENSIONE DI ELETTRA DEIANA.

“Al lavoro e alla lotta era” l’esortazione che concludeva comizi, feste dell’Unità e assemblee politiche ai tempi del Pci, quando la politica di sinistra in Italia era un potente strumento di riscatto sociale e insieme un forte riferimento per le nuove generazioni. Allora le parole avevano significati precisi, spesso perentori, soprattutto quando si riferivano alle contraddizioni sociali o erano finalizzate alla polemica politica.” Al lavoro e alla lotta” è anche il titolo che Fulvia Bandoli e Franca Charomonte hanno scelto per il libro scritto insieme sulle parole del Pci. Una rievocazione sentimentale e insieme politica della storia di quel partito, che per una lunga fase è stato il loro partito e in cui entrambe hanno ricoperto per lungo tempo ruoli dirigenti.
Con diverse impostazioni politiche tuttavia, che le autrici ricordano nell’introduzione del libro: primato delle istituzionI e valore assoluto della capacità di operare l’arte della mediazione, per Franca, radicalismo, movimentismo e primato della politica tra la gente rispetto a quella delle istituzioni, per Fulvia. Ma sapevano fermarsi nella polemica, aggiungono nell’introduzione, quando la polemica diventava troppo dura e questa capacità, che è anche frutto del loro femminismo , è stata la garanzia del loro lungo sodalizio e del ricordare oggi insieme, attraverso le parole, la comune avventura politica e – si capisce leggendo – il valore che ha avuto per le loro vite. La parola però femminismo non compare tra quelle scelte, forse non a caso, perché l’attenzione à stata indirizzata alle parole topiche della tradizione comunista e alle modalità militanti dell’azione quotidiana.
“Al lavoro e alla lotta”si articola tra messa a punto delle parole e interviste a esponenti politici che hanno avuto peso e storia nel PCI. Undici interviste, undici approcci della memoria a quella storia, undici sensibilità diverse di uomini e donne, che si ritrovano su alcuni passaggi ma si distanziano su altri. Tra gli altri e le altre, Maria Luisa Boccia, Gianni Cuperlo, Aldo Tortorella, Livia Turco, Emanuele Macaluso, Marisa Rodano. Anche dalle interviste emergono le differenze politiche, che erano, va detto, un modo di essere di una complessa costruzione storico-antropologica come quella dei partiti di massa di una volta, e del PCI in modo particolare. Differenze anche forti ma che poi, nel Pci, il leniniano centralismo democratico, spiegano le autrici nell’apposita voce, rimetteva in ordine. Il centralismo democratico era infatti il cuore dell’organizzazione politica interna dei partiti leninisti: libertà per i membri del partito di discutere e dibattere sulla politica e sulle decisioni da prendere, ma, quando il voto sanciva la maggioranza, l’obbligo vincolante per tutti era di stare alla decisione. Nel “libretto rosso” di Bandoli e Chiaromonte le 188 parole sono ovviamente la parte più importante, che danno l’idea di perché le due autrici abbiano voluto rievocare in questo modo la storia del partito. Le parole infatti,a differenza dell’indifferenziato uso che oggi ne fa la politica, allora pesavano come pietre e fortemente concorrevano a creare campi diversi e opposti della politica.
Ci sono le parole della grande politica comunista e della teoria politica – comunismo, battaglie delle idee, blocco storico e altre ancora – ma moltissime sono le parole ricorrenti tra dirigenti e attivisti politici, quelle che segnavano momenti interni alla vita del partito e momenti di battaglia esterna: dai comizi nelle piazze al complesso discorso politico nelle istituzioni democratiche. Da abatino, il dirigente della Fgci che decideva di restare il più possibile nell’organizzazione giovanile, perché ritenuta meno rigida e chiusa nei confronti dei giovani, a vigilanza, apparentemente solo un servizio d’ordine ma in realtà, sottolineano Bandoli e Chiaromonte, una struttura portante dell’intera attività operativa del partito. E si avverte la simpatia che le due autrici hanno avuto per chi faceva parte di quella struttura, così interna e funzionale alla vita del partito, così legata alla sua vicenda umana e politica. E ne ricordano alcuni nomi, come di amici lontani che si ricordano con affetto perché hanno fatto parte della nostra vita. E in mezzo parole di polemica nei confronti degli avversari e di programma, di idea del mondo e politica del mondo, come internazionalismo. Insomma il linguaggio del potere e insieme quello della persuasione, della mediazione, della decisione. Caleidoscopio di parole diversissime per campo semantico ma tenute insieme, a leggerle, dal filo rosso di un’idea precisa della politica – il ruolo centrale del partito – e messe giù in ordine alfabetico, come per un gioco della memoria a cui serve un appiglio per dare ordine alle cose. Ma nello stesso tempo, nella casualità dell’ordine alfabetico, si ricompone in qualche modo la complessità del vicenda politica del Pci ed emerge quello che per esempio Maria Luisa Boccia dice a proposito di quel partito: “non comunità” ma” mondo”, volendo cogliere soprattutto il carattere di complessità della vicenda del comunismo italiano.
Mondo certo, ma nello stesso tempo anche comunità, sottolineano Gianni Cuperlo e altri, “l’idea che un partito non lo tieni insieme perché monti i gazebo per le primarie o metti la maglietta gialla per ramazzare le strada, ma sapendo cogliere come sapeva fare il Pci, il momento che incrociava la domanda di civismo con l’offerta della buona politica.” Sono importanti tra le altre, le parole della quotidianità dell’agire – corteo, comizio, feste dell’Unità, attacchinaggio, volantinaggio e altre ancora che trasmettono l’idea di quanto fosse forte il legame sentimentale tra gli attivisti o militanti del Pci, come si chiamavano allora. E’ durato, quel legame, oltre la crisi, il cambiamento del nome, l’adattamento delle politiche dei nuovi leader a logiche che non hanno più nulla a che vedere con le antiche.
Le parole dicono chiaramente anche questo.

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