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Microcritiche / Una donna che fa notizia

4 Febbraio 2018
di Ghisi Grütter

THE POST – Film di Steven Spielberg. Con Meryl Streep, Tom Hanks, Sara Paulson, Bob Odenkirk, Bradley Whitford, Bruce Greenwoods, Matthew Rhys, Alison Brie, Tracy Letts, Carrie Coon, David Cross, Jesse Plemons, Michael Stuhlbarg, Zac Woods, USA del 2017, durata 118”. Sceneggiatura di Liz Hannah e Josh Singer –
Al film The Post è stata dedicata una notevole campagna pubblicitaria, compresa la presenza dei due fantastici interpreti nella trasmissione televisiva di Fabio Fazio, la domenica sera. Si è detto e letto molto, quindi sarà difficile che io possa sostenere qualcosa di originale o di diverso.
Posso dire però, che vedendo il film mi è venuta un’immensa nostalgia di quell’epoca. Era facile capire da che parte stare, dove fosse il giusto e dove l’errore, chi fossero i buoni e chi i cattivi. Le battaglie contro la guerra del Vietnam hanno unito generazioni di giovani pacifisti determinando, in tutto il pianeta, massicce manifestazioni, veglie e marce richiedenti giustizia e la fine della guerra.
Il mondo sembrava più semplice (ma non meno violento) e il giornalismo – sia quello stampato che televisivo – aveva una funzione fondamentale capace perfino di far cambiare gli eventi. Basti pensare al ruolo che ha avuto nella storia americana Edward R. Murrow che nel 1953 condusse, dagli studi radiofonici della CBS, una feroce battaglia contro il Senatore Mc Carthy e contro le sue liste di proscrizione. Sulla figura di Murrow George Clooney ha costruito il suo (forse) miglior film da regista Good Night, Good Luck del 2005, tutto rigorosamente in bianco e nero. Pensiamo inoltre alle inchieste di Walter Leland J. Cronkite, chiamato appunto da Murrow alla CBS, famoso e potente conduttore del telegiornale dal 1962 al 1981, ed editor della trasmissione giornaliera CBS Evenig News.
Il mondo statunitense è un mondo rigorosamente puritano, e non cattolico, dove la fiducia è la base di tutti i rapporti, ma dove non è perdonato il tradimento della fiducia stessa. Ad esempio se andate in un albergo non vi chiederanno i documenti a verifica delle generalità, ma se per caso si scopre che avete dato nominativi falsi potreste rischiare la galera! I due temi che tratta il film The Post sono, appunto, il tradimento della fiducia di ben quattro presidenti (Dwight D. Eisenhower, John F. Kennedy, Lyndon B. Johnson, Richard Nixon) e il tema della libertà di stampa, libertà innanzi tutto nei confronti del Governo.
Da sempre la stampa anglosassone è fedele a un principio di informazione – non conosce il giornalismo d’opinione tanto caro ai nostri giornali – e tutta una serie di norme deontologiche regola i rapporti con la veridicità dei dati, con il controllo delle fonti di informazione e così via. O almeno così era.
Nella seconda metà degli anni ’60 vennero alla luce i documenti detti “Pentagon Papers”, il famoso rapporto McNamara, Segretario della Difesa degli Stati Uniti dal 1961 al 1968 durante la Guerra del Vietnam, sotto la presidenza Kennedy prima e Johnson poi. Il rapporto di 7.000 pagine, fu parzialmente stampato dal New York Times e dal Washington Post colpiti da un’ingiunzione della Corte Suprema.
La vicenda del film The Post termina dove inizia quella di un altro storico film: Tutti gli uomini del Presidente di Alan J. Pakula del 1976, dove Bob Woodward e Carl Bernstein, giovani cronisti del Washington Post, inizieranno un’inchiesta che porterà all’apertura della procedure di impeachment del 1974 nei confronti di Richard Nixon.
In questo film Spielberg cavalca temi di estrema attualità: il cattivo rapporto tra potere e mezzi di informazione nell’America d’oggi (leggi Donald Trump), non era stato così teso proprio dai tempi di Richard Nixon, ad eccezione forse della presidenza di George W. Bush. La storia di una donna sottostimata al comando nel Consiglio d’Amministrazione è stata ben trattata dal regista: un’agiata housewife abituata a condurre una vita mondana (potrebbe essere una delle “ladies who lunch” con cui Truman Capote andava a pranzo in ristoranti come La Côte Basque) dopo aver fatto la figlia, la moglie e la madre per la maggior parte della sua vita, aveva ereditato nel 1963, in modo improvviso e inaspettato, l’impero della carta stampata e, da figura fragile e insicura, si trasforma man mano in una donna volitiva e coraggiosa. A mio avviso, questa è forse la parte più avvincente del film.
Costruito in modo perfetto con notevole sapienza e grande mestiere da Steven Spielberg, The Post non presenta elementi di originalità nella scelta del soggetto. Infatti, come mi faceva notare la mia amica esperta di cinema e di televisione, all’accoppiata publisher/director di un giornale era stata già dedicata la serie TV – vincitrice di tredici Emmy Award e tre Golden Globe – dal titolo Lou Grant, andata in onda negli Stati Uniti negli anni 1977/1982 e interpretata da Edward Asner e Nancy Marchand. The Post, comunque, mostra le due recitazioni magistrali di Meryl Streep (lei sicuramente merita un ennesimo Oscar) nei panni di Katharine Graham, proprietaria del giornale Washington Post e di Tom Hanks in Ben Bradlee, il suo direttore.
Trovo che il tema del giornalismo d’inchiesta sia ormai diventato un genere cinematografico e, senza togliere nulla a The Post non posso non menzionare come esempio recente, l’ottimo film Il caso Spotlight di Tom McCarthy (e degli stessi sceneggiatori di The Post Liz Hannah e Josh Singer) del 2015, vincitore del premio Oscar come miglior film di due anni fa.

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