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C’era una volta la Carta delle donne, il 30 ottobre a Parma

24 Ottobre 2017

LUNEDÌ 30 OTTOBRE alle ORE 18,00
alla libreria Feltrinelli di Parma, via Farini 17, Liliana Rampello presenta
C’era una volta la Carta delle donne.Il PCI, il femminismo e la crisi della politica. Interverranno in contesto Letizia Paolozzi e Alberto Leiss, curatori del libro. Introduce e coordina l’incontro Clelia Mori

1986: nel Pci con un’identità ormai in crisi, un gruppo di donne riunito da Livia Turco cerca nel femminismo e nella forza sociale femminile la chiave di una nuova politica. Nasce così la “Carta” itinerante delle donne comuniste. In tutta Italia si moltiplicano incontri, manifestazioni, proposte e nell’87 moltissime candidate vengono elette in Parlamento nelle liste del maggior partito della sinistra. Nell’89, dopo il crollo del muro di Berlino, il Pci volta pagina: lo scontro tra il Sì e il No sul cambiamento del nome divide anche il gruppo della Carta. Trent’anni dopo, le protagoniste di quell’esperienza si ritrovano. L’incontro diventa testimonianza a più voci e un racconto del recente passato che tiene conto della differenza tra i sessi e parla anche al nostro presente.

Pubblichiamo due recensioni di Alessandra Pigliaru e Piero Di Siena uscite rispettivamente sul manifesto e sulla rivista Critica Marxista:

La scommessa delle relazioni al tempo del Pci

di Alessandra Pigliaru (il manifesto 9 settembre 2017)

«Noi donne comuniste proponiamo alle donne una alleanza per vincere una scommessa: stabilire un nuovo rapporto tra la nostra vita e la politica, fare in modo che la nostra vita invada le istituzioni della politica, i governi, i partiti che li compongono, diventi per loro materiale ingombrante li obblighi a inciampare in essa». Così Livia Turco chiosava nella introduzione della «Carta delle donne». L’avventura che nell’autunno del 1986 riunì in via delle Botteghe Oscure le donne del Pci per l’approvazione di quello che sarebbe stato molto più di un documento di partito è, a distanza di trent’anni, al vaglio di una ulteriore perlustrazione. Non si ripensa con il senno di poi né si opera una revisione fuori tempo massimo, a essere riconsegnata è invece la viva qualità di una esperienza cruciale per chi vi ha partecipato e per le ricadute che ne sono conseguite, così come la dura critica a una postura politica inefficace, ostile alle donne e al rinnovamento.

Nata allora in un momento di potenti trasformazioni sociali e politiche, viene proposto ora un volume che ne ripercorre la storia – non cronologica -, capace di interrogare quell’impresa di desiderio che diviene «luogo della memoria» da riattraversare. C’era una volta la Carta delle donne. Il Pci, il femminismo e la crisi della politica, a cura di Letizia Paolozzi e Alberto Leiss (Biblink editori, pp. 214, euro 22) presenta dunque una doppia sfida. Quella di misurarsi con una attualità di cui si tengono aperte questioni e nodi e, per un altro verso, di individuare se da quella temperie possa emergere una testimonianza che parli anche al nostro presente. Mentre il Pci veniva funestato da profondi cambiamenti dopo la morte di Berlinguer, si giocava una partita in cui il femminismo risultava centrale, certo non nasceva in quell’istante né dentro le stanze di palazzo eppure mostrava possibilità di alleanze. Per chi ha fatto parte di quel processo si tratta oggi di tornare a interpellare lo spazio di scambio e di intensa scommessa, anche relazionale.

Nell’ottobre del 2014 il gruppo delle partecipanti si reincontra perché, come scrivono Paolozzi e Leiss, è importante «rivedere questioni di fondo rimaste senza soluzione». Prende avvio un sito (http://cartadelledonne.it/index.html) e, il 23 ottobre del 2015, un convegno organizzato dalla Fondazione Istituto Gramsci e dalla Fondazione Iotti. «Adesso – aggiungono Paolozzi e Leiss – c’è la curiosità di riaprire una rete di rapporti e la voglia di rintracciare gli effetti positivi di quelle rivendicazioni, leggi, obiettivi di governo delle donne per dimostrare che ‘non abbiamo agito politicamente invano’».

Attraverso la testimonianza delle sue protagoniste possiamo leggere le considerazioni di Livia Turco sulla storia di confine generata da quell’esperimento, di Maria Chiara Bisogni, Vanda Giuliano, Alessandra Tazza e Paola Ortensi, insieme alle parole di molte altre tra cui Franca Chiaromonte, Marisa Rodano, Sara Ventroni.

Pci e femminismo

di Piero Di Siena (Critica Marxista n. 4-5 2017)

Letizia Paolozzi e Alberto Leiss hanno raccolto in un volume (C’era una volta la Carta delle donne. Il Pci, il femminismo e la crisi della politica, Biblink Editori, Roma 2017, pp. 216) riflessioni e testimonianze su uno dei tentativi più ambiziosi che nella seconda metà degli anni Ottanta del secolo scorso furono intrapresi per collocare, prima della “svolta” dell’89, il Partito comunista italiano entro un orizzonte teorico e ideale totalmente nuovo rispetto alla sua stessa tradizione, che già Berlinguer negli ultimi anni della sua direzione aveva percepito come sostanzialmente esaurita.
I contributi raccolti da Paolozzi e Leiss, a cominciare da quello di Livia Turco che di quell’esperienza fu la principale protagonista, costituiscono sostanzialmente la rielaborazione degli interventi e della discussione preparatoria per il convegno organizzato a trent’anni dalla Carta dalla Fondazione Nilde Iotti. L’introduzione della curatrice e del curatore del volume ricostruisce la complessa trama di nodi irrisolti, di contraddizioni, alcune al momento feconde, di “doppiezze” (in senso togliattiano) che quel documento redatto dalla Commissione femminile del Pci diretta da Livia Turco e ap- provato dalla Direzione del Pci rappresenta. Esso nasce da un inedito rapporto tra la cultura politica delle donne del Pci, sino ad allora inscritta entro un orizzonte sostanzialmente emancipazionista, e il nuovo femminismo che vede la luce nella seconda metà del secolo scorso. I canali di questa relazione sono più di uno, da Alessandra Bocchetti e Maria Luisa Boccia a Roma, a Lia Cigarini, Luisa Muraro e la Libreria delle donne a Milano, da Giovanna Borrello e Luisa Cavaliere a Napoli, e soprattutto sul piano internazionale Luce Irigaray e la sua teoria della “differenza” posta a fondamento di un nuovo e radicale pensiero delle donne. Né si può sottacere il ruolo decisivo che ebbero personalità come Nilde Iotti, Giglia Tedesco e Marisa Rodano, le quali per l’autorevolezza acquistata nel gruppo dirigente del partito resero possibile che le ardite innovazioni della Carta potessero di- venire parte organica della linea ge- nerale dei comunisti italiani.
E tuttavia cruciale, e per certi versi senza paragone, appare nelle relazioni con il femminismo e nella stessa stesura della Carta il ruolo di Franca Chiaromonte, che nel suo stesso vissuto racchiudeva più di altre quella, allora, feconda antinomia rappresentata nell’incipit della Carta: «siamo donne e comuniste».
L’introduzione di Paolozzi e Leiss ripercorre puntualmente tutte le contraddizioni e i nodi problematici di questa grande operazione innova- tiva. Vi è un’antinomia non sempre sciolta tra l’impianto teorico della prima parte della Carta che fa riferimento al femminismo della differenza e le indicazioni programmatiche della seconda parte omogenee al più generale slittamento delle politiche economiche e sociali del Pci dalla strategia delle “riforme di struttura” a quella ispirata alle politiche di welfare delle più avanzate socialdemocrazie europee. Diventa immediatamente un problema politico tra le donne promotrici della Carta, per le elezioni del 1987, l’impegno profuso da Livia Turco a garantire una più estesa presenza femminile nelle istituzioni ricorrendo ai meccanismi di selezione propri di una politica che resta declinata al maschile e la rivendicazione di una radicale autonomia femminile che rendesse effettivamente operante il dettato della Carta («dalle donne la forza delle donne»). D’altra parte un altro dei pilastri del femminismo della Carta – porre la «relazione tra donne» a fondamento dell’agire politico – ben presto rischia di trasformarsi, nel pieno della crisi dei corpi intermedi tradizionali e della politica di massa, in una pratica lobbistica circoscritta a relazioni interne a un ceto politico e intellettuale femminile, come apparve evidente soprattutto dall’espe- rienza successiva del gruppo di Emily, animato da Franca Chiaromonte e Annamaria Carloni.
È tuttavia anche vero che vi sono molteplici ragioni per rivendicare – come fa Francesca Izzo – il carattere fecondo di queste “doppiezze” che attraversano il testo della Carta e il movimento che ne seguì. Bisogna riconoscere infatti che le politiche di welfare ispirate alla Carta, dalla legge di iniziativa popolare sui tempi di vita e di lavoro sino al documento sul lavoro della Libreria delle donne di Milano di circa dieci anni fa alla vigilia della Grande Crisi che stiamo attraversando, alludono a un rovesciamento tra valore di scambio e valore d’uso di immensa portata. Bisogna altresì sottolineare come, allora alla fine degli anni Ottanta, quelle indicazioni programmatiche contribuirono a demolire gli steccati che nel mondo del lavoro, in quello dell’impresa e della cooperazione c’erano tra donne di sinistra e donne cattoliche, anticipando processi più generali che avrebbero caratterizzato la stagione apertasi negli anni Novanta. Lo stesso rapporto tra autonomia delle donne e modalità di formazione di un ceto politico femminile, oggetto di controversie tra le medesime protagoniste della Carta, pur nelle sue contraddizioni ha dato sicuramente un impulso decisivo all’avvio di una formazione di una classe dirigente di donne che ormai si afferma per sua autonoma forza e non per cooptazione maschile, persino quando questo avviene in contesti fondati su forti leadership personali, come con Berlusconi e Renzi.
Paolozzi e Leiss individuano nel fatto che le donne della Carta non
seppero rimanere unite rispetto alla svolta promossa nell’89 da Occhetto la ragione della dissoluzione di quell’esperienza, nonostante il tentativo di alcune di esse di dare vita attraverso la cosiddetta Quarta mozione a una posizione che trovasse nel femminismo le ragioni per oltrepassare il dilemma di fronte a cui allora si trovarono le comuniste e i comunisti italiani. Livia Turco aggiunge anche, autocriticamente, che le donne della Carta alla fine non seppero superare nelle dinamiche interne ai gruppi dirigenti un sostanziale affidamento al potere maschile.
È difficile dire se l’una e l’altra cosa sarebbero stati sufficienti a dare continuità a quella esperienza. Gli interrogativi e i dilemmi che attraversano l’ultimo testo raccolto nel libro di Paolozzi e Leiss – quello di Sara Ventroni, una donna di una generazione successiva a quella della Carta – ci dicono che forse dovremmo interrogarci su ragioni più di fondo, soprattutto ora che lo stesso femminismo della differenza sembra dividersi irreparabilmente su questioni cruciali che riguardano la maternità, il rapporto tra corpo delle donne e libertà, in ultima istanza tra storia e natura.

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