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Microcritiche / Mal di pietre e d’amore

28 Aprile 2017
di Ghisi Grütter

MAL DI PIETRE – Film di Nicole Garcia. Con Marion Cotillard, Alex Brendemühl, Louis Garrel, Brigitte Roüan, Victoire Du Bois, Aloïse Sauvage, del 2016.Fotografia di Christophe Beaucarne, Musiche di Daniel Pemberton –

Se fosse una storia ottocentesca – ad esempio di Guy di Maupassant – si potrebbero sintetizzare le vicende narrate dal film come “la storia di un’isteria”, ma io preferisco pensare che rappresentino più generalmente una metafora della condizione femminile.
Mal di pietre, presentato al festival di Cannes del 2016, è tratto dal libro omonimo di Milena Agus (edizione Nottetempo) del 2006, che parla proprio del destino di una donna sarda anticonformista che usa un linguaggio spregiudicato e allontana i suoi pretendenti scrivendo lettere piene di fantasie sessuali.
Nicole Garcia ambienta la vicenda nella campagna di Valensole, nell’Alta Provenza, alla fine della seconda guerra mondiale. Una famiglia di possidenti benestanti dà lavoro ai braccianti spagnoli scappati a causa dell’avvento del franchismo nel 1939. Due sono le figlie femmine, ma Gabrielle (un’immensa Marion Cotillard) ha dei comportamenti a dir poco stravaganti, sembra disturbata psicologicamente, e s’invaghisce follemente del suo tutore di letteratura, felicemente sposato e in attesa di un figlio.
All’epoca la “malattia mentale” era una specie di onta, non c’erano terapie se non le case manicomiali, si cercava quindi di negarla. Adéle (Brigitte Roüan), la madre di Gabrielle, pensa che un matrimonio (un uomo) possa risolvere i problemi della figlia, e sicuramente può risolvere quelli della famiglia. Pertanto propone a José Rabascal (Alex Brendemühl), un operaio/bracciante catalano, di sposarla in cambio di aiuti finanziari e lavorativi.
E così, come si usava una volta per i matrimoni combinati, Gabrielle accetta a malavoglia – l’alternativa era di essere internata – pur ponendo una serie di restrizioni e condizionamenti a José. Con il tempo la stessa Gabrielle, apprezzando la riservatezza del marito, si scioglierà un po’ e accetterà anche di avere rapporti sessuali con lui. Josè le si affeziona e, poco a poco, cercherà di fare ciò che pensa la faccia felice, le costruisce anche una bella casa sul mare a Le Ciotat, sotto Marsiglia.
Un aborto spontaneo svelerà che Gabrielle ha il “mal di pietre” che sarà curato in una clinica svizzera con la terapia Kneipp delle acque e delle docce alternate. Lì incontrerà André Sauvage (Louis Garrel), un giovane tenente malatissimo (ha un solo rene) che ha combattuto in Indocina e che le farà rinascere il sentimento di passione assopito da anni. Non voglio narrare qui tutte le vicende che porteranno Gabrielle a essere madre, ma sempre e completamente posseduta dall’amour fou.
È così che molte donne hanno vissuto, e ancora vivono, una realtà che non hanno scelto e che le rendono infelici. Solo rifugiandosi nell’immaginario e nella fantasia molte donne riescono a sopravvivere a tutte le condizioni. L’attrazione poi per ciò che non si può avere è sempre più forte di ciò che abbiamo a portata di mano e il desiderio aumenta con l’impossibilità a ottenere ciò che si pensa possa darci la felicità.
La luce è un elemento forte del film, dai campi di lavanda al tramonto, alla nebbia alpina, al sole della casa in riva al mare, ai colori pastello di Lione. Ottima la scelta delle musiche: Bach, Purcell, Favre e così via.
La regista Nicole Garcia nasce in Algeria da famiglia spagnola. In Francia dal 1960, ha ottenuto molti successi come attrice girando con famosi registi come Lelouch, Tavernier e Deville. Come regista scava sempre nella psiche dei suoi personaggi – ad esempio in L’avversario del 2002 con Daniel Auteuil – e nei rapporti interpersonali familiari.

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