Pubblicato sul manifesto il 7 marzo 2017 –
Domani è l’8 marzo e quest’anno c’è una novità. Molte donne in tutto il mondo pronunciano una parola che fa parte della storia del movimento operaio: sciopero! In Italia firma la dichiarazione di sciopero generale il movimento Non una di Meno, che – formato da soggetti diversi, dalla rete dei centri antiviolenza Dire, alla storica Unione donne in Italia (Udi) alla galassia romana Io decido – ha già dato vita alla grande manifestazione romana del 26 novembre scorso e a due assemblee nazionali a Roma e a Bologna.
Questo giornale ha già raccontato le caratteristiche e i contenuti di uno sciopero che si propone di coinvolgere sia il lavoro produttivo, sia il lavoro di cura che soprattutto le donne continuano a fare.
La reazione contro la violenza maschile si carica di protesta contro un intero sistema economico e sociale che rende in modo violento precaria la vita soprattutto delle (e dei) giovani, e che non elimina ancora troppi svantaggi per le donne, nonostante la forza e la libertà conquistata e ereditata dalla rivoluzione femminista.
La scelta di rilanciare una forma di lotta che rievoca apertamente le origini dei movimenti antagonisti di un altro tempo – qualche giornale ha ricordato come una enorme e pacifica manifestazione di donne russe avesse aperto le giornate della Rivoluzione sovietica (poi rovinata dai maschi) un secolo fa – secondo me non va confusa con un eccesso di nostalgia o di ideologia. C’è qualcosa di profondamente vero nell’idea che si debba in qualche modo ricominciare da capo per conquistare nuove libertà, per reagire a nuove sopraffazioni, e che un movimento mosso da queste ambizioni, sentimenti, desideri, per vincere debba assumere una dimensione globale.
In un momento in cui sembra prevalere ovunque lo spirito di scissione e di contrapposizione, anche intorno allo sciopero delle donne non sono mancate le polemiche. Ma è davvero possibile – dice una “madre di famiglia” – “astenersi”, sia pure per una sola giornata (ma quanto sono lunghe in certe situazioni 24 ore!) dall’accudire un bambino piccolo o un anziano malato? E che senso ha – dice un altro (sindacalista) – rinunciare a ore di stipendio per obiettivi un po’ vaghi come combattere la violenza maschile? E perché Non una di Meno – scrive su facebook la mia amica Isoke – non ha affrontato con la forza necessaria la violenza della tratta delle straniere costrette a prostituirsi?
Opinioni e dubbi forse fondati. Ma in me prevale l’aspettativa: domani scatterà una scintilla capace di illuminare un’altra scena per quella cosa che chiamiamo politica? E saranno le donne a accendere questa luce?
Lo sciopero – si legge nel blog di Non una di Meno – è “sciopero dei generi” e “sciopero dai generi”. Non solo una “mobilitazione di massa”, ma anche una “mobilitazione” per una trasformazione personale. Un invito a riconoscere e scartare gli stereotipi che una cultura millenaria ci cuce addosso.
Noi maschi possiamo aderire in molti modi. Incrociamo le braccia per pura solidarietà, un sentimento che andrebbe riscoperto. Occupiamoci – per un giorno – dei bambini e dei nonni poco autosufficienti. Se non possiamo fare questo, impegnamoci almeno in un esperimento mentale: proviamo a metterci nei panni di quella ragazza che si è laureata a pieni voti, ha fatto il master, ha già scritto pagine geniali, o prodotto filmati esteticamente perfetti, ma trascorre i suoi giorni obbligata a dare consigli stupidi ai clienti di un call-center. E magari alla sera viene maltrattata dal fidanzato.
Non verrebbe in mente anche a noi di proclamare uno sciopero generale?