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relazioni politiche, dal quartiere al mondo

Cari uomini nei cortei dell’8 marzo…

16 Marzo 2017
di Stefano Ciccone

Pubblichiamo un intervento di Stefano Ciccone già diffuso su facebook

Cari uomini che eravate ai cortei dell’otto marzo, che avete
partecipato alle assemblee promosse dalle donne del movimento “non una
di meno”, che siete andati in piazza manifestando la vostra
testimonianza contro la violenza maschile verso le donne, contro le
persistenti discriminazioni, contro l’omofobia, contro la
riproposizione di ruoli stereotipati e destini segnati per due sessi…
perché eravate lì? Cosa cercavate e cosa portavate? Cosa avete
trovato, come siete cambiati? E ora come andare avanti?
Molti uomini in passato hanno iniziato una propria riflessione e un
proprio percorso critico trovandosi cacciati dai cortei delle donne
che gli chiedevano di assumersi la responsabilità di una presa di
parola autonoma, di non limitarsi a “solidarizzare”, a volte
paternalisticamente, con le lotte delle donne.
Oggi che significa per noi essere dentro quei cortei, ascoltare e
parlare nelle assemblee promosse dalle donne?
Ci sono tanti modi per stare, come uomini, in questo grande
cambiamento in corso.
Anche oggi vediamo uomini che colgono l’occasione per ergersi a
difensori delle donne. Altri che ripropongono l’ossequio di maniera,
un po’ galante e un po’ deresponsabilizzato: “facciamo fare alle
donne, loro salveranno il mondo con la loro sensibilità”. Così,
anziché mettere in discussione la rappresentazione stereotipata delle
attitudini attribuite ai due sessi, ci si limita a valorizzarle
acriticamente. O ci si limita ad affidarsi al maternage femminile anziché
prendersi la responsabilità di dire cosa vogliamo, cosa siamo disposti
a mettere in discussione di noi, cosa chiediamo nel dialogo con le
donne.
Oppure c’è il vittimismo di molti che, dissociandosi dai modelli
maschili più tradizionali, lamentano una rappresentazione ingenerosa e
caricaturale del maschile, un’ostilità verso gli uomini delle donne e
dei loro movimenti. Il cambiamento rappresentato come una minaccia e
non come un’opportunità, anche per gli uomini, per ripensare il
proprio modo di stare al mondo e di immaginare il proprio destino. Per
non parlare dei tanti, troppi, che con la scusa della “ribellione al
politicamente corretto”, ripropongono il conformismo di modelli
maschili arcaici contrabbandati come “trasgressivi”.
La frustrazione e il disorientamento degli uomini è oggi largamente
strumentalizzata da politiche basate sulla paura, l’egoismo e lo
sciovinismo. Da Trump a Salvini, da Orban a Erdogan, il maschilismo
becero si accompagna allo sciovinismo e magari si presenta come
“antisistema”.
Il sogno dell’individuo che si è fatto da solo, che è padrone di se
stesso e del proprio futuro, un modello che come uomini conosciamo
bene e che è stato alla base della propaganda della società delle
“opportunità”, della competizione, dell’individualismo contro i legami
sociali, si è trasformato in un incubo: quello per cui ognuno è
colpevole della propria condizione: se hai perso il lavoro o non lo
trovi, se sei povero, è colpa tua e la solidarietà sociale è un lusso
che non possiamo permetterci.
Ma al tempo stesso crescono tanti percorsi di cambiamento maschile,
spesso fatti in solitudine e senza avere a disposizione le parole per
raccontarli, spiegarli, condividerli: essere padri in modo nuovo,
vivere la sessualità, la cura del corpo, il rapporto col mondo del
lavoro in modo diverso dalle generazioni precedenti. Il cambiamento
maschile è già in corso ma non ha parole per essere nominato. E ciò
che non ha un nome non esiste, non si può riconoscere.
La libertà delle donne e degli uomini, la libertà delle persone
omosessuali ed eterosessuali, la libertà di chi vive nella propria
città e di chi scappa da proprio paese sono inscindibili: o crescono
insieme o insieme vengono compresse.
I privilegi degli uomini, il nostro potere, la nostra autorità, le
nostre sicurezze resistono e generano discriminazioni e dominio, ma si
rivelano anche una gabbia per le nostre vite. La presunzione di
superiorità verso il femminile, l’ironia e lo stigma verso
l’omosessualità, la virilità come valore, sono delle gabbie dorate ma
non per questo meno solide e oppressive.
È possibile per gli uomini pensare la propria libertà di stare al
mondo mettendola in dialogo con altre libertà?
Il primo passo può essere quello di scambiare pensieri, storie,
desideri. Chi vuole può scrivere a: [email protected]. Se
emergerà un desiderio comune proveremo, insieme, a farne qualcosa.
Intanto raccontiamoci.

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