Anima / Corpo

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In una parola / Autotomia (ricordando Rosetta Stella)

29 Gennaio 2017
di Alberto Leiss

imgresPubblicato sul manifesto il 24 gennaio 2017 –

Morire quanto necessario, senza eccedere./
Rinascere quanto occorre da ciò che si è salvato.

Sabato scorso (21 gennaio) alla Casa Internazionale delle donne di Roma Fulvia Bandoli ha citato questi versi di Wislawa Szymborska chiudendo un incontro – voluto dalle femministe del Gruppo del mercoledì – per ricordare Rosetta Stella, che ci ha lasciato nel maggio scorso. Va citato anche il titolo e il contenuto della poesia: Autotomia, che è la capacità di alcuni animali di amputarsi parti del corpo che poi ricrescono forse meglio di prima. Szymborska inventa una metafora parlando dell’oloturia (una specie di pesce-alga che sembra un cetriolo) animale che “in caso di pericolo… si divide in due: da un sé in pasto al mondo, con l’altro fugge.”
La vita e la fuga imprevista di Rosetta sono state invece per molti versi eccessive – come quasi tutte le voci che l’hanno ricordata sabato hanno detto – ma è vero che era animata da un inquieto desiderio di darsi “in pasto al mondo”.
Una energia che l’ha portata a attraversare sempre battagliando la vita dell’Udi, l’elaborazione del femminismo tra Roma e Milano (come documentano gli articoli sulle riviste DWF e Via Dogana), la ricerca teologica (culminata nel suo ultimo libro, Divagazioni sul tema del Noli me tangere, con una “elevatezza che mi lasciava positivamente esterrefatto”, parole del vescovo Agostino Marchetto). E poi la partecipazione ai gruppi femministi Balena e del mercoledì, fino all’ultima esperienza di gruppo, la Scuoletta per un uso politico della teologia.
La sua era una “originalità radicale e spiazzante” (Bianca Pomeranzi), era una donna “vitale, imprevedibile, feroce e misericordiosa” (Rinalda Carati), “né cielo, né inferno, ma carne dubbiosa” (Stefania Giorgi). Impegnata a scrivere un discorso pronunciato dalla Madonna (Febbre di Maria, citato da Maria Rosa Cutrufelli) come un intervento a favore del distacco più netto dell’Udi dal Pci, anche rinunciando al finanziamento elargito dal partito (Paola Masi). Valutava appieno il valore materiale e simbolico del denaro: una sua donazione facilitò l’uscita della seconda serie della rivista della Libreria delle donne di Milano, Via Dogana. Una “passione politica senza aggettivi” (Maria Luisa Boccia) che produceva anche “distanza”, “squassava le relazioni”, ma realizzava “un’intesa di tipo unico: una con cui baruffavo e ridevo spregiudicatamente” (Luisa Muraro).
Una sua frase (ricordata da Lia Migale): “Dio c’è, anche se non esiste…” forse spiega un poco la sua passione per le dimensioni del sacro, per il valore profetico che vedeva anche nel linguaggio dissacrante di Carla Lonzi (Gabriella Bonacchi), la sua ricerca sulle “possibilità di accadimento” nel presente, “nominando ciò che è già cambiato” (Claudio Vedovati).
Rosetta avrebbe apprezzato tanti apprezzamenti lusinghieri su di lei, ma non avrebbe voluto essere retoricamente esaltata. Maria Starnone ha citato un vecchio libro sulle suore, Le casalinghe di Cristo, con un suo intervento poi rinnegato. “Mi mancherà – ha detto Letizia Paolozzi – il suo stare di traverso, anche insopportabile. E il fatto che non è mai stata rivendicativa”. Rosetta, inoltre, “non era diffidente rispetto al sesso maschile”.
Questo l’ho saputo anch’io conoscendola, e apprezzando l’esperienza della Scuoletta: per un anno e mezzo donne e uomini ci siamo ritrovati in uno scambio intenso. Un equilibrio difficile, retto grazie alla sua presenza. E rotto ora che lei non c’è più. Un altro interrogativo da indagare nella sua eredità molteplice.

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