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Papa Francesco, il mondo in crisi, le donne. Confronto a Roma il 4 / 11 con Critica Marxista

29 Ottobre 2015

images-2Sul numero 2-3 2015 di Critica Marxista sono stati affrontati vari aspetti del papato di Francesco: ne hanno scritto il direttore Aldo Tortorella, la filosofa e storica della politica Marisa Forcina, e ne ha parlato S.E Agostino Marchetto, storico della Chiesa, che ha conosciuto personalmente Bergoglio (il quale, salito al soglio pontificio. ha avuto occasione di definire pubblicamente Monsignor Marchetto il migliore ermeneuta del Concilio Vaticano II), in una intervista raccolta da Rosetta Stella e Alberto Leiss.
Mercoledì 4 novembre se ne parla in un incontro pubblico presso l’Istituto Sturzo di Roma, dalle 16,30, con la partecipazione del Presidente dello Sturzo Nicola Antonetti e della teologa Marinella Perroni. Pubblichiamo qui sotto l’intervista a Agostino Marchetto.
Ecco il programma dell’iniziativa:

Le parole e i gesti di Francesco, la crisi del mondo, la differenza delle donne

Un confronto a partire dai testi sul papato nel numero 2-3 2015 della rivista Critica Marxista

Mercoledì 4 novembre, dalle ore 16,30, presso l’Istituto Sturzo di Roma, via delle Coppelle 35

Saluto di apertura:

Nicola Antonetti, storico, Università di Parma, Presidente dell’Istituto Sturzo

Partecipano:

Marisa Forcina, storica, Università del Salento
S.E. Agostino Marchetto, storico della Chiesa
Marinella Perroni, teologa, Pontificio Ateneo S. Anselmo
Aldo Tortorella, direttore di Critica Marxista

Coordina:

Alberto Leiss, giornalista

(Informazioni: alberto leiss – 345 2155882 – [email protected])

FRANCESCO: RIFORMA E DISCERNIMENTO

CONVERSAZIONE CON IL VESCOVO
AGOSTINO MARCHETTO

A cura di Rosetta Stella e Alberto Leiss

Agostino Marchetto è vescovo in pensione. Si è occupato a lungo della presenza internazionale della Santa Sede in diversi paesi del mondo, tra cui Bielorussia, Cuba, e numerosi stati africani (Mdagascar, Tanzania). E’ stato poi segretario del Pontificio consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, prendendo spesso nette posizioni pubbliche critiche contro le politiche di respingimento e di limitazione dei diritti dei migranti. E’ uno storico del Concilio Vaticano II (tra i suoi libri: Il Concilio Ecumenico Vaticano II. Contrappunto per la sua storia. 2005 – Il Concilio Ecumenico Vaticano II. Per una sua corretta ermeneutica. 2012. Libreria Editrice Vaticana). Papa Francesco nel 2013 ha voluto rendere pubblica una lettera a Marchetto in cui lo riconosce come “il migliore ermeneuta del Concilio Vaticano II”. Con lui e con Rosetta Stella, femminista, abbiamo avuto una lunga conversazione sul papato di Francesco.

Alberto Leiss – Ringrazio intanto Lei e Rosetta Stella, che ha interceduto, per aver accettato la proposta di questo incontro.
Partirei da una domanda personale: lei ha conosciuto a fondo il cardinale Bergoglio, prima che fosse eletto Papa.

Agostino Marchetto – Certo, l’ ho conosciuto perché quando veniva a Roma prima di essere eletto, naturalmente, albergava in questa stessa Casa internazionale del Clero. Lui risiedeva all’interno n. 203, io ho tuttora il 204. C’è stata quindi a lungo conoscenza e anche un po’ di scambio. Non approfondirei questo aspetto ma sicuramente nella nostra rivista People on the move, periodico del Pontificio consiglio pastorale migranti e itineranti , sempre abbiamo dato rilievo a documenti che produceva il cardinale Bergoglio, particolarmente vicini a noi in quel contesto delle migrazioni e della mobilità umana. Formulazioni e posizioni che poi si trovano nel documento di Aparecida (documento finale della V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano e del Caribe, tenuto nel 2007, alla cui redazione presiedette Bergoglio) che pure è stato da noi molto considerato, per dir la verità. Dunque c’era una conoscenza tale che per me era chiaro, dopo il gesto straordinario di combinazione di fede e di ragione che ha portato papa Benedetto XVI a dare le dimissioni, che il Papa che doveva venire sarebbe stato qualcuno dall’America Latina. Questo io l’ho dichiarato prima dell’elezione, quindi non è un ragionamento venuto a posteriori. Posso aggiungere – ma questo non l’avevo dichiarato alla stampa – che per me l’unico, il più adatto era proprio lui. Ne ero certo perché l’uomo era tale che, pur avendo già una certa età, e pur essendo già sul punto di dare le dimissioni – e già aveva stabilito dove si sarebbe ritirato dopo l’accettazione delle dimissioni – poteva essere veramente lui l’occasione per la Chiesa. Un uomo che faceva un certo transito, una certa differenza, pur – questa è la mia convinzione – nella continuità che è propria della Chiesa cattolica. Credo che non si possa pensare, con tutto il rispetto di tutti coloro che pensano diversamente, che la Chiesa cattolica non debba tenere conto della sua tradizione, con la T maiuscola, che vuol dire una continuità dell’unico soggetto Chiesa, pur nella riforma, nel rinnovamento, nell’aggiornamento, nell’innovazione che sicuramente sta portando Francesco.

Leiss – Dunque perché Bergoglio, un latino americano, e perché un gesuita?

Marchetto – Sì, soffermiamoci sulle componenti della personalità di Francesco. La prima, lo confermo, è che è latino americano. Non solo latino americano, ma anche argentino. Certo ha delle radici anche italiane, ma direi che tra i latini americani gli argentini hanno delle caratteristiche di vivacità particolare, che lui sta dimostrando, e in un contesto latino americano vuol dire anche di tutto un continente. Di tutta una Chiesa continentale – se possiamo usare questo termine, in cui forse bisognerebbe fare delle specificazioni – che ha delle caratteristiche particolari, messe in evidenza dopo il Concilio Vaticano II, pur nel contesto della comunione della Chiesa universale. Non c’è dubbio che i documenti delle grandi assemblee degli episcopati latino americani hanno dato delle note, manifestato dei colori, espresso delle sfumature e qualcosa di più di sfumature, più di quanto possiamo trovare in altri luoghi in cui vive la Chiesa cattolica. E’ qui che troviamo la famosa visione delle – come io le chiamo – teologie della liberazione. Lo dico al plurale, come il Papa stesso sta dimostrando: lui certamente non si può dire che sia espressione della teologia della liberazione, ma – come dicono adesso – della teologia del popolo, liberato, o che cerca di liberarsi. Dunque una sfumatura, non da poco, che permette di capire quello che è stato il travaglio della Chiesa di fronte alla teologia della liberazione, che si orientava in parte in relazione con il metodo marxista, quando non con il marxismo tout court. Perché il documento secondo che nasce proprio all’interno del Sant’Uffizio – adesso è la Congregazione per la dottrina della fede – recupera la teologia della liberazione e ne da una versione, diciamo, accettabile dal punto di vista teologico e dell’ortodossia, tra virgolette, di quello che è stato un movimento in cui c’erano tanti elementi e tante correnti che si pronunciavano e dove era necessario fare un discernimento. Ecco la grande parola – discernimento – che porta al secondo elemento che vogliamo esaminare di questa persona, che è un gesuita.

Rosetta Stella – E il termine discernimento porta direttamente a S. Ignazio di Loyola, fondatore dell’ordine…

Marchetto – Non c’è dubbio, ma i gesuiti sono tutti ignaziani, devono essere tutti ignaziani. Che lo siano poi davvero questo dipende… ma voglio sottolineare anche l’elemento povertà… Perchè all’inizio della vita di conversione S. Ignazio ha vissuto quasi alla maniera di S. Francesco, e qui c’è un certo aggancio a quello che poi sarà la scelta del nome, l’altro elemento da approfondire. Ma fermiamoci un momento sulla questione che è un gesuita. Dunque i gesuiti nell’attuale fase della loro esistenza conservano questa attenzione particolare, per me, allo studio. E si vede che Francesco è un uomo “studiato”, mi meraviglia la conoscenza della letteratura che ha, una cosa anche legata all’insegnamento che ha fatto, ma vuol dire che è un uomo con un’apertura mentale a 360 gradi. Si potrebbe per lui citare il motto: niente di quello che è umano mi è alieno. E’ un elemento da tenere in considerazione. Poi c’è la serietà dell’ impegno dei gesuiti, la polivalenza. Io in Africa ho trovato moltissimi gesuiti missionari, parroci, che vivevano la vita gesuitica in una realtà di pastorale, e quindi ecco anche questa combinazione che lui stesso ha della dottrina, nel senso di conoscenza e di studio, e della pastorale.

Leiss – Non c’è contraddizione tra queste due dimensioni?

Marchetto – No, non c’è incompatibilità. E poi l’interesse che ha per i giovani: ha fatto la sua esperienza di studi e si vede il desiderio di aiutare la gioventù. E quindi il discernimento, che è effettivamente la parola chiave per i gesuiti. Discernimento e ascolto: anche il Papa ascolta, ascolta tutti, ha una grande apertura dello spirito, però poi decide. Qualcuno già comincia a dire: è troppo decisionista… beh, quando uno ha consultato coloro che dovevano essere consultati, quando stabilisce un gruppo di cardinali perché facciano l’”assessoramiento”, come si dice, perché lo “assessorino” per dilatare la visione, o anche di produrla dall’esterno più che dall’interno curiale, romano ecc., dopo tutto questo deve essere lui che certamente decide. Del resto è quello che il Papa ha detto, ma la stampa non lo ha sottolineato, all’inizio del sinodo dei vescovi. Ha affermato, cosa che gli stessi teologi non dicono spesso con questa chiarezza e esattezza, che non c’è una Chiesa istituzione e una Chiesa dello spirito in contraddizione, ma che ci sono solo due elementi di istituzione divina nella Chiesa, l’Episcopato romano, e cioè il primato del Papa, il successore di Pietro, e il vescovo nella sua diocesi, che è successore degli apostoli. E poi ci sono realtà di costituzione umana, le conferenze episcopali, per esempio, il sinodo dei vescovi. Sono di istituzione umana. E poi ha soggiunto: in ogni caso, non abbiate timore, perché ci sono qua io… così ha detto.. ci sono io che sono il pastore, il Papa, colui che è il capo del collegio degli apostoli e dunque avete un appoggio e un punto di riferimento in me, che è di istituzione divina.

Leiss – Un Papa che ha deciso di chiamarsi Francesco, un altro fatto simbolico senza precedenti.

Marchetto – Questa è stata secondo me una grande illuminazione, certamente aiutata dal suo collega cardinale Claudio Hummes, O. F. M. (Ordine dei Frati Minori) , arcivescovo emerito di San Paolo, che gli dice, proprio dopo che è stato eletto, di non dimenticare i poveri. Io credo che l’uomo non avrebbe dimenticato i poveri, però questo monito gli ha lavorato dentro… Ed ecco che decide: mi chiamo Francesco. Straordinario!

Leiss – Che cosa leggere in quel nome, al di là dell’immediato riferimento a una Chiesa dei poveri?

Marchetto – In fondo è anche dire: io metto insieme l’istituzione e il carisma. Tutti riconosciamo il carisma di Francesco e dei francescani, degli ordini mendicanti, di questa rinascita del secolo XIII che porta nella Chiesa tutta una componente di riforma e di rinnovamento. Non andando però nella linea dei fraticelli o di coloro che per amore del carisma della povertà, dell’essere con i poveri, avevano perso il senso di essere movimenti di Chiesa, e che per essere di Chiesa devono avere una comunione con la Chiesa romana, di Pietro e di Paolo, degli apostoli, la Chiesa apostolica, una delle colonne fondamentali che sostengono la Chiesa tutta. Per cui questo ingranaggio che è innescato con il nome porta delle conseguenze. Per me la conseguenza più importante – ancora prima del fatto che risiede a S. Marta, che è certamente un segno forte, penso anche abbastanza contundente – è la consuetudine di dire messa al mattino con una porzione del popolo di Dio, molte volte romana. Dove il Papa è vescovo, celebra, spezza la parola di Dio nell’omelia, che ha delle caratteristiche ben precise. E’ la volontà di attualizzare la parola di Dio tenendo ben conto dei segni dei tempi, ma molto concreti e senza pensare chissà a quali segni, ma ai segni della vita e del quotidiano, di ogni giorno. Francesco sta con la comunità in un legame che supera la possibilità di celebrare la messa da solo, diciamo, o con un gruppettino di persone. E questa credo che sia proprio una cartina di tornasole dell’applicazione da parte sua del Concilio Vaticano II. Uno dei segni per me più evidenti che lui ne ha masticato i documenti, non ce dubbio: non li cita molto – questo è anche vero – però ne ha fatto cosa sua, il suo spirito. Naturalmente c’è poi continuamente il suo parlare dei poveri e di applicarlo alla chiesa: come vorrei che la Chiesa fosse povera e fosse per i poveri. Ma non dimenticando che ci sono tante povertà. E anche su questo quindi non bisogna essere manichei, e tener conto che il Papa non è riduttivo nella sua visione anche se esprime la preferenza, l’opzione preferenziale per i poveri, come è stato detto e sempre molto sottolineato in America Latina. Giovanni Paolo II aggiungeva: non esclusiva e non escludente, l’opzione per i poveri.

Stella – Questo che hai detto del “poi decide”, ascolta tutti e decide, questa pratica non avrebbe nulla di diverso rispetto alla pratica di altri Papi, lo fanno tutti quanti, il Papa fa così…

Marchetto – C’è una differenza…

Stella – C’è una differenza io credo, sempre per rimanere nel campo del fatto che è un gesuita, nell’importanza della parola discernimento, che per me ha messo a fondamento del suo pontificato. Fa la differenza con una pratica generica dell’ascolto tutti e poi decido, anche riguardo a quello che dicevi sul fatto che ci sono il Papa, il vescovo, istituzioni divine, e poi quelle umane, come il sinodo dei vescovi, che ha valore solo consultivo…

Marchetto – Il papa può attribuirgli anche un valore deliberativo…

Stella – Vedremo ora cosa deciderà con il sinodo sulla famiglia
… ma la qualità di questo suo decidere è molto importante che sia caratterizzata dalla parola discernimento, che è pulitamente, squisitamente e meravigliosamente – dico io – ignaziana. Bergoglio mi piace perché la sua non è soltanto politica vaticana. Mette in gioco, a fronte di un piccolissimo potere temporale, una immensa autorità…

Marchetto – Morale…

Stella – Direi un’ autorità senza aggettivi, molto efficace e potente, se vogliamo, perché poi riesce a cambiare gli equilibri..

Marchetto – Può… può cambiarli

Stella – Qualche volta riesce anche

Marchetto – Certamente

Stella – E questa pratica dell’autorità, può essere forse un modello anche per una politica tanto in crisi?

Marchetto – Ma il Papa quando decide ha un’assistenza particolare, da parte, per noi, dello Spirito Santo… Ci sono appunto anche i pronunciamenti particolari, ben circostanziati, in cui avviene il dono dell’infallibilità

Stella – Ho letto sull’Osservatore Romano una sua battuta, dice scusandosi: io sono molto disordinato. Perché aveva sbagliato un appuntamento… Insomma è capace di scherzare sulla sua infallibilità… E tornando all’uso particolare che fa della parola discernimento, io penso che di lui ci si possa fidare anche quando scherza. Questo mi porta a introdurre un altro argomento: quello del suo linguaggio, e dei riflessi che provoca nel sistema dei media. E del rapporto che questo ha con il suo essere un Papa pastore, come tu dicevi prima. C’era bisogno di un Papa pastore.

Marchetto – Sì certo. Ma non solo. Come dicevo la distinzione tra pastorale e dottrina io non la faccio proprio perché credo che dietro la sua pastorale c’è una dottrina. Però ogni Papa porta nel pontificato se stesso e la sua vita. Credo che il fatto di essere stato arcivescovo di Buenos Aires per abbastanza tempo ha molto inciso nel suo carattere e nel suo modo di agire, e si vede ancora come lui si interessa concretamente dei casi, delle persone, della sua diocesi, da dove viene, e questo gli fa onore da una parte, quindi sicuramente è pastore. Però ha una consistenza e come tu dicevi, anche nello scherzo, non è che non tenga conto di quello che dice.

Leiss – Ma certe sue affermazioni, diciamo così, poco ortodosse, come quando nelle Filippine parlando del fare tanti figli dice “non siete conigli”, non finiscono per contraddire concetti e valori che, fino a non molto tempo fa, la Chiesa definiva ripetutamente “non negoziabili”?

Marchetto – Io penso che abbia delle buone antenne per rendersi conto di che cosa dice, dove e quando lo dice, però ha anche un po’ di indulgenza con se stesso nel lasciarsi un momentino andare a un linguaggio popolare, come credo facesse quando era a Buenos Aires. Per cui alcune espressioni le usa liberamente, ma poi lui stesso dice: beh forse non era l’espressione più felice, quella dei conigli certamente… Ma tutte le sue frasi, se si analizzano un poco, evidenziano significati chiari. C’è una indulgenza al linguaggio popolare e in questo credo che ci sia una risposta per quanto riguarda il linguaggio. Oggi c’è una indulgenza da parte di tutti nel ripetere: è una questione di linguaggio, ci può essere una esagerazione… Ma è vero che anche il Concilio ha usato un linguaggio particolare, un rinnovamento del linguaggio, nella fedeltà certamente, però era un rinnovamento del linguaggio. Quindi la questione non è solo quella della trasmissione, ma anche della capacità di andare alle radici di quello che si trasmette, e qui ecco il rischio e la opportunità, la chance, di un rinnovamento del linguaggio. Ma su questo punto ripeto: il Papa deve essere lasciato libero di non essere sempre ingessato, di non tenere proprio fino al millesimo presente tutto. Libero di esprimersi in modo più diretto e poi magari di tornare indietro e precisare, se necessario correggere. Intervenire sulle interpretazioni mediatiche. E qui entra la grande questione del rapporto del Papa con i mass media. Dobbiamo riconoscere che se Benedetto XVI avesse detto alcune cose che ha detto fino adesso Francesco, non so che cosa avrebbe ricevuto come reazione della stampa, dobbiamo essere onesti e riconoscerlo. Per cui qualcuno comincia già a dire: c’è un Papa Francesco dei media, e c’è un Papa Francesco della realtà; e non possiamo dire proprio assolutamente no a questa ipotesi che comincia a manifestarsi e che ritorna a porre la questione che Papa Benedetto aveva indicato tre giorni prima di andarsene a Castel Gandolfo, e dunque di ritirarsi formalmente. Nel discorso che fece di fronte al clero romano: una meraviglia di discorso, senza testo davanti, per 45 minuti. E come si vede nella registrazione televisiva il Papa guarda l’assoluto con i suoi occhi, più che il pubblico che ha di fronte, e rivede tutto il Concilio Vaticano II, ne dà la sua interpretazione e alla fine dice: perché c’è un Concilio Vaticano II della stampa e c’è un Concilio dei padri, dei padri conciliari. Dunque la questione dei media, volenti o nolenti, pone dei condizionamenti che possono essere ideologici, di sensibilità, di simpatia, chiamiamo le più varie ragioni in causa, ma di fatto in questo nostro mondo si devono fare qui i conti con un potere.

Leiss – Un potere, un condizionamento al quale forse il Papa dovrebbe almeno in una certa misura sottrarsi?

Marchetto – Allora, la risonanza mediatica certamente è una realtà che fino a adesso è andata… è andata bene. Di fatto lui ha goduto con la stampa direi fondamentalmente di una luna di miele, abbastanza lunga. Che certo può rischiare di condizionarlo, e non solo di condizionarlo, ma di trasformarsi in qualcosa d’altro se non corrisponde all’immagine che la stampa ha trasmesso di lui. Quindi evidentemente ci sono dei rischi ma un Papa, e specialmente Francesco, deve affrontare i rischi del suo ministero, e deve rispondere certamente a Dio e anche alla umana famiglia e poi avere questa pace dello spirito che è indispensabile. Del resto io che l’ho conosciuto prima, l’unica cosa di lui che ritenevo un fattore non all’altezza del sommo pontificato era il fatto che non rideva mai… mai… era una persona estremamente seria. E invece, lo scopro io e lo scopriamo tutti, adesso, come persona che ride, sempre con il sorriso. Ed egli posso dire che me l’ha detto – e lo ha detto anche a altri perché l’ho visto riportato dalla stampa da un altro intervistato – ha detto che dal momento in cui in conclave ha sentito che lo spirito andava in quella linea, e che i padri conclavisti erano orientati verso di lui, è stato invaso da una pace e da una serenità che ancora dura: grazie a Dio, dico io, e forse lo dirà anche lui… Però ecco, nella vita non è che siano tutte rose e viole.

Stella – Ma credi che sia consapevole dei rischi che corre per questa risonanza mediatica, che può capovolgersi contro di lui?

Marchetto – Credo nella sua intelligenza, e credo che riesca, come fino adesso, a concedere quello che si può concedere a questo aspetto, in fondo, di misericordia. Lo chiamerei così.
Compassione, intendimento, comprensione. Ma! Quando scatta la questione in cui c’è dottrina, tu vedi che il linguaggio si fa ben preciso, e lui dice: sono figlio della Chiesa, un’espressione ricca di tanto significato, o anche quando, con “aria ignaziana di famiglia” parla dell’amore e dell’obbedienza per la “Santa Madre Chiesa gerarchica”. Espressione che poi è riflesso di quanto afferma il Concilio: comunione gerarchica, perché la Chiesa è comunione. E’ anche tante cose: mistero, corpo mistico di Cristo, popolo di Dio, eccetera… tutto l’inizio della Lumen Gentium.

Stella – Va anche ricordato che i gesuiti fanno il quarto voto, quello di obbedienza al Papa.

Marchetto – non tutti, non tutti… Ma lui l’ha fatto.
I religiosi cattolici fanno tre voti: castità, povertà e obbedienza, si intende ai superiori. I gesuiti, non tutti, ma quelli che hanno più capacità, doti, e anche virtù, fanno il quarto voto di obbedienza al Papa.

Stella – Bergoglio parla di povertà e la pratica, ma ripete anche sistematicamente la parola periferie. Le periferie del mondo. Ma non solo in senso letterale, anche in senso simbolico, metaforico. E’ un modo di intendere l’evangelizzazione? Di tradurre quella che hai chiamato la teologia del popolo che si libera?

Marchetto – In fondo è un modo di dire verso gli ultimi. E può essere anche un modo di tradurre le teologie della liberazione. Ma è anche e soprattutto la sua pastorale, la pastorale che ha fatto a Buenos Aires. Inoltre aggiunge che dalla periferia si può vedere meglio il mondo, ed è quello che ha fatto con i cardinali consultori e consiglieri. Sono d’accordo che il discernimento è la parola chiave del suo pontificato, ma è anche vero che ha dilatato la consultazione e l’ascolto specialmente con chi viene da fuori, con i lontani, che non stanno a Roma, ma vivono nelle periferie. E il significato metaforico e simbolico vuole anche dire non essere egoisti, uscire da se stessi.

Stella – Ancora una osservazione su linguaggio e media: c’è stata il primo maggio l’inaugurazione trionfante dell’Expo. Il Papa nel messaggio in video ripete: guardate i volti di coloro che hanno fame… Ma non poteva essere questa l’occasione di un gesto più forte?

Marchetto – Quando ero a Cuba sentivo dire che nella rivoluzione si può sempre fare qualcosa di più… Francesco ha trovato modo di far sapere che non ha apprezzato la quantità di denaro che lo stesso Vaticano ha investito per realizzare il proprio padiglione all’Expo. Credo poi che si ponga anche una questione di misura, e di approfondimento di temi complessi. Ha indetto il Giubileo, ma anche detto che non è indispensabile per celebrarlo venire in massa a Roma. Non desidera farne un “Grande Evento” dominato da questioni materiali.

Leiss – A proposito della misura e della materialità, Francesco ha anche aperto una svolta nella questione dello IOR e delle finanze vaticane. Ma questo vuol dire che si pensa a un ridimensionamento della struttura statuale del Vaticano, che ha nunziature in tutto il mondo, con determinati costi: è qualcosa che connota la sua missione e il ruolo della Chiesa?

Marchetto – Il Papa ha voluto sanare l’immagine economica della Chiesa: questo può mettere in crisi la sua azione e la sua presenza anche come entità statale? Io penso che volenti o nolenti il principio che sta alla base del Concordato resti tuttora valido. Permette una minima entità territoriale che consente alla Santa Sede una presenza giuridica, una struttura gerarchica, l’esercizio del commercio della carità, l’espletamento dello stesso ruolo del Papa: un piccolo territorio e una organizzazione quasi-statale. Ma Francesco ha voluto che fosse chiaro che si tratta di una realtà statuale minima, che deve rimanere nella dimensione di piccolezza e “povertà”, mi si intenda bene. Si è preoccupato perché l’immagine di questo IOR condiziona la testimonianza di un fattore fondamentale della evangelizzazione: una realtà essenziale della Chiesa, quindi è stato giusto e salutare che si sia partiti da lì. E si è giunti a un punto notevole di strutturazione nella chiarezza e nella libertà di azione nel campo amministrativo, finanziario e economico.
Tra l’altro è bene sottolineare che le relazioni degli stati avvengono con la Santa Sede, non con il Vaticano in quanto stato. Quando ero a Cuba era particolarmente difficile far comprendere questa differenza, e il fatto che la Santa Sede non fosse da collocare nell’ambito dell’Europa. La Santa Sede non può materializzarsi in un continente. Collocatela, dicevo, piuttosto tra gli organismi come le Nazioni Unite…. In una dimensione universale. E oggi, malgrado la secolarizzazione galoppante, e anche nel pieno di battaglie e nel dispiegarsi di ideologie dell’eccesso, si assiste a un ritorno del ruolo delle religioni, e di quella cattolica: si accetta l’idea che rivestono un ruolo importante per la ricerca della pace e del dialogo. Nel tentativo di superare le difficoltà della situazione mondiale la realtà della Santa Sede è rivalutata rispetto al calo di considerazione del passato. Anche in presenza di un laicismo, di una laicità militante, diminuisce la fobia per la presenza di realtà religiose nel confronto civile.

Leiss – Ma come è vissuta l’azione di Papa Francesco all’interno della Chiesa?

Marchetto – Si vive abbastanza bene. C’è un certo entusiasmo, c’è accoglienza e simpatia, e anche di più, specialmente da parte dell’espressione popolare della devozione. Ma in altri, che hanno un elemento intellettuale più sofisticato, si avverte una difficoltà per il linguaggio molto popolare che Francesco utilizza nella sottolineatura così forte della povertà, e per il fatto che si occupi meno, rispetto a quanto faceva Benedetto XVI, dell’elemento “dottrinale”. E’ presente insomma una corrente un po’ meno entusiasta…

Stella – Nel linguaggio quotidiano quando si dice Chiesa in realtà si intende la Curia, la Chiesa gerarchica, l’elemento intellettuale…

Marchetto – Certo, ma non si può dire in realtà che la Curia pensa così o in un altro modo, ci sono varie componenti, anche se capisco che si possa pensare a una tendenza “curiale”. A questo proposito anche nel Concilio Vaticano II c’erano posizioni diverse, e come storico non posso accettare certe semplificazioni. Ma è vero che esiste una crisi tra il magistero della Chiesa e i teologi, c’è quasi una competizione tra il “magistero” dei teologi e il magistero dell’Episcopato, del Papa con i vescovi.

Leiss – Ma su quale terreno emerge questa competizione?

Marchetto – La questione fondamentale della Chiesa cattolica è tenere insieme i bandoli della matassa. La Chiesa si caratterizza per l’”et… et”, e ricordo il teologo protestante Cullmann che durante il Concilio si rivolgeva ai luterani dicendo: dobbiamo prestare attenzione anche noi al “genio” del cattolicesimo, alla capacità di tenere insieme cose difficilmente componibili. Altri si votano all’ “aut… aut”, o questo o quello. I due elementi principali sono, il primo, la preoccupazione per la fedeltà alla tradizione, alle sacre scritture, ai Concili, alle formulazioni dogmatiche che mostrano l’evoluzione del dogma ma in modo omogeneo, senza rotture. E’ la parte che compete specialmente al magistero dei vescovi. In secondo luogo c’è la legittima tendenza che si preoccupa dell’incarnazione dell’eterno e sempre nuovo messaggio di Dio nell’oggi, nella realtà contemporanea. Questi due elementi devono andare insieme – certo tra crisi e tensioni – e questa è la Chiesa cattolica.

Stella – Esiste una scienza teologica morale, pastorale, dogmatica e antropologica. Dal Concilio Vaticano II è venuta una nuova antropologia, ma è decisivo il modo di vivere e interpretare il Concilio: è una rottura? Questo darebbe ragione a certe correnti teologiche scientifiche…

Marchetto – L’ermeneutica della riforma lo situa nella continuità dell’insegnamento dell’unico soggetto Chiesa. Da questo punto di vista non ho preoccupazioni per il Papa. Fede e ragione, fides et ratio. Il magistero guarda alle fonti della fede, il teologo guarda la ratio, se così si può dire. I testi di Giovanni Paolo II – che sappiamo ispirati da Ratzinger – illustrano la preoccupazione che la fede debba essere razionale, ragionevole. Non ci può essere distanziamento o indifferenza sia da una parte sia dall’altra di questo binomio.

Stella – Questa tematica del rapporto tra magistero e tempo presente, ci porta a un altro tema su cui Francesco si esercita quasi quotidianamente, quello del ruolo delle donne, nella società e nella Chiesa… qualcosa che riguarda la teologia morale, la pastorale, e anche la politica.

Marchetto – E’ chiaro. E’ vero che il Papa su questo insiste, evidenziando il bisogno di approfondimento teologico e storico per il ruolo femminile nella Chiesa. E si parla più di teologia della donna che di femminismo. Non si può negare che questa formula sta passando anche nella struttura della Chiesa. Il ruolo delle donne si accresce costantemente, ma è necessaria anche una misura nella velocità del cambiamento. Non deve manifestarsi come una revanche. Del resto già nel 2010, nel Pontifico consiglio della pastorale dei migranti e itineranti, la maggioranza dei componenti erano donne. E le catechiste sono quasi tutte donne. Una realtà ormai realizzata, anche se non dappertutto. Naturalmente alcune donne pensano che l’ideale sarebbe che donne e uomini avessero gli stessi ruoli nella Chiesa. Nel Vangelo le figure femminili hanno un ruolo fortissimo – una donna annuncia agli apostoli la resurrezione – anche se non fanno parte degli apostoli. Sulla questione dell’ordinazione sacerdotale c’è un limite, e il Papa ha citato Giovanni Paolo II considerando chiusa la questione.

Leiss – Ma vietare il sacerdozio femminile e l’amministrazione dei sacramenti non significa escludere le donne dal potere effettivo? Questo pensa buona parte dell’opinione pubblica.

Marchetto – Credo ci sia un equivoco nell’identificare sacramenti e potere. Altre espressioni di collegialità possono essere considerate: tutto quello che si può fare credo che lo si dovrebbe fare, non ci sono difficoltà dottrinali. E sono convinto che il Papa sia propenso a realizzarlo e lo farà.

Stella – Francesco ha definito recentemente come maschilista il comportamento di Adamo, che interrogato dal Signore incolpa Eva per aver raccolto il frutto proibito. E’ una battuta che ho già ascoltato da alcuni gesuiti. C’è forse una “gesuitica” captatio benevolentiae nei confronti delle donne, mostrando una debolezza maschile in questo momento storico?

Marchetto – Non solo dai gesuiti, era patrimonio comune, uno dei temi di predicazione che noi poveretti facciamo è che il peccato ha rotto anche la solidarietà nella coppia. Adamo incolpa Eva, invece sono stati in due a fare quello che è stato fatto. Francesco usa ancora una volta un linguaggio popolare.

Leiss – Perché c’era bisogno di un Papa come questo, con le caratteristiche personali e culturali di cui abbiamo parlato?

Marchetto – Per reagire da parte della Chiesa a una secolarizzazione galoppante in Occidente, con effetti negativi sulla vita delle famiglie, sul calo della partecipazione alla messa, sul modo di intendere la rivoluzione sessuale. Si trattava di riattualizzare il messaggio autentico del Concilio Vaticano II.

Stella – Ancora un accenno lo vorrei fare alla capacità del Papa di irrompere nella polemica politica quotidiana. Come quando incontrando le organizzazioni laicali dei gesuiti ha messo da parte il testo scritto e parlando a braccio ha chiesto un impegno pressante contro “la cultura dell’illegalità e della corruzione”, definendo la politica come “la forma più alta e esigente della carità”, e aggiungendo che la politica è “il martirio quotidiano di cercare il bene comune senza lasciarsi corrompere”…

Marchetto – Direi che con queste parole straordinarie di Francesco possiamo chiudere.

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