Quattro donne riprese di spalle mentre, sedute sulla spiaggia di Agadir, fissano l’oceano. Dimentiche del loro corpo sensuale in vendita, dei festini umilianti con i sauditi, della medina di Marrakech dove scivolano come ombre velate, dei poliziotti ricattatori.
Nabil Ayouch, regista di Much Loved ci mostra Noah, Randa, Soukaina, Hlima insieme. Senza bisogno di altri, le quattro si comportano – per un istante – da sovrane. Quasi che vita, scelte, decisioni gli appartengano. Libere, nonostante il loro lavoro di prostitute. Per via di quel nucleo di soggettività che può trasformarle, strapparle a una realtà immersa nel tempo e nella storia, dunque non immobile.
Certo, il fiume della soggettività femminile si confonde nella rete dei suoi affluenti dove si dimostra che le donne sono ormai dappertutto. Nei luoghi alti del potere. Maria Elena Boschi ha davanti a sé la poltrona di premier oppure di sindaco di Roma. Carleton “Carly” Fiorina, manager americana e ora candidata repubblicana, sfida tra gli altri il ringhioso magnate maschilista Donald Trump. E ha di fronte Hillary. Christine Lagarde dirige il FMI. Una galleria infinita di esempi.
Eppure, “le donne hanno perso” annuncia la copertina dell’Espresso (num.41, 15 ottobre 2015). Nelle pagine interne e nell’inchiesta di Sabina Minardi, l’affermazione è un po’ diversa. Benché fatica, ingiustizie, misoginia, violenze e discriminazioni non si interrompano, in una parte del mondo “l’autonomia di dire, di fare, di decidere della propria vita sono realtà conquistate”.
Dunque, la storia delle donne sembra un bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto; dipende da che parte lo guardi.
Disporre di sé. Assumersi il rischio (e il potere) di decidere. Nel bene e nel male; nel giusto e nell’ingiusto. A Napoli è stata ammazzata “come un boss” (titolava “Il Mattino” di qualche giorno fa) Annunziata D’Amico ovvero Nunzia la “passilona”. Sei figli, reggente del clan in assenza degli uomini della famiglia in carcere con il 41bis, “citofonista”, quasi un esattore delle tasse per recuperare soldi da chi abita nelle case popolari di Ponticelli. Andava a suonare i campanelli a bordo di un Beverly, guidato da un affiliato del clan.
Scrive Isaia Sales, studioso delle mafie: “Mentre in Cosa nostra e nella ‘ndrangheta il ruolo delle donne non è mai appariscente, le donne di camorra hanno da sempre avuto maggiore visibilità e un ruolo rilevante all’interno dei loro clan. Spesso sono loro a dare gli ordini, a tenere le file delle varie attività. Non partecipano direttamente agli omicidi, ma li decidono”.
Niente più giornate trascorse ad accudire, aspettare, vestirsi a lutto, portare i fiori sulla tomba. Ora le donne diventano capoclan; incitano i killer; ricevono i guaglioni; guidano gli affari.
Ma Sales esclude che si tratti di “emancipazione criminale femminile”. No, sono donne dalle “vite sentimentalmente aperte; moderne; si vestono come le loro coetanee. Abbandonano l’abito della casalinga”. Di fronte agli arresti di massa, al carcere duro del 41 bis, la successione avviene per via femminile. In quanto mogli, madri, sorelle, sostituiscono i maschi finiti dietro le sbarre.
Ma, chiederei a Sales, se il marito, il fratello, il figlio tornasse a casa, sarebbero pronte queste donne a indossare di nuovo l’abito della casalinga?
Evidentemente, la libertà, intesa come cambiamento, ha una potenza diversa dall’emancipazione. Tuttavia, sarebbe impossibile distinguere le acque del fiume da quelle del suo affluente.