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Microcritiche / Dal ‘600 una rivincita femminile

25 Settembre 2015
di Ghisi Grütter

images-4SANGUE DEL MIO SANGUE – Film di Marco Bellocchio

Sangue del mio sangue è l’ultimo film di Marco Bellocchio presentato al Festival di Venezia 2015. Non sono sicura di aver capito del tutto il rapporto tra le due diverse storie narrate nel film, ambientate nello stesso luogo a distanza di 600 anni, ma probabilmente il nesso non c’è. Si riscontrano comunque delle analogie sul senso di enclave, sulla gestione del potere, sull’autoprotezione e chiusura al mondo esterno, sulle superstizioni.
Mentre la parte secentesca è molto ben girata con una bella luce caravaggesca che mette in evidenza i volti scavati, gli abiti dell’epoca (per quanto i costumi siano prevalentemente quelli di religiosi) e le ambientazioni – sottolineate da un’ottima musica -, la parte contemporanea è frazionata, goffamente felliniana, più comica che ironica, con dialoghi sull’attualità un po’ generici, un po’ banali: le fatture del medico, gli scontrini, la guardia di finanza, la navigazione in internet sono tutti segni della contemporaneità.
Le storie: in un convento di suore di clausura sul fiume Trebbia a Bobbio, bussa Federico (Pier Giorgio Bellocchio figlio del regista) un uomo d’arme, con lo scopo di riabilitare la memoria del fratello sacerdote morto suicida. L’Inquisizione accusa una giovane suora (Lydia Liberman è la nostra Monaca di Monza) di averlo sedotto e fatto impazzire. Una strega? Un patto con Satana? Tuttavia Federico invece di vendicarsi si sente morbosamente attratto dalla giovane donna che non ha nulla di cui pentirsi e viene pertanto condannata a essere murata viva in una cella. La colpa, naturalmente, deve ricadere più sulla suora che sul sacerdote perché è sempre viva l’idea della donna quale potenza demoniaca.
Nello stesso convento ai tempi d’oggi sempre Federico, piccolo truffatore, si finge ispettore regionale e vuole far comprare il degradato ex convento – diventato ex carcere – a un suo amico sedicente miliardario russo.
Lì tutta una serie di intrighi e intrallazzi: una sorta di conte Dracula (Roberto Herlitzka) vive nascosto nel Convento ma partecipa a un Comitato polito e di affari del paese con i cui membri gestisce la sorte della piccola cittadina con la nostalgia di un periodo passato e di una giovinezza sfiorita. Un potere connivente al sistema mafioso che distribuisce “favori” equamente tra gli abitanti come le invalidità fisiche presunte per le quali si ottengono fondi regionali o comunque sovvenzioni pubbliche.
Il finale del film (o meglio i finali delle storie) sembrerebbe gratificare il femminile perché la suora viene graziata da Federico diventato nel frattempo cardinale (Alberto Bellocchio fratello del regista) e se ne va nuda e libera mentre sia Federico nella prima storia che il Conte nella seconda, soccombono e nulla possono rispetto al simbolo femminile di libertà. E così, con un po’ di fatica, le storie sono ricucite.

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