SARÀ IL MIO TIPO? E ALTRI DISCORSI SULL’AMORE – film di Lucas Belvaux –
Nonostante Lucas Belvaux sia un regista belga Pas son genre – più assertivo titolo in francese – è da considerarsi un garbato film francese un po’ rohmeriano, adattamento del romanzo omonimo di Philipe Vilain.
La storia può ricordare varie accoppiate da “La bella e la bestia”, al film di Woody Allen “Io e Annie” o Alexander l’intellettuale e la sua ragazza svampita nel romanzo “Il lamento di Portnoy” di Philip Roth e così via. Una pista già lungamente percorsa ma che stimola sempre nuove curiosità e riflessioni.
Clément (un bravo Loïc Corbery ) è un Professore di filosofia che viene trasferito al liceo di Arras, una deliziosa cittadina di provincia a un’ora e mezza di treno a Nord di Parigi, di circa 45.000 abitanti le cui Piazza grande e Piazza degli eroi con le case in stile barocco fiammingo, sono considerate “patrimonio dell’umanità” dall’Unesco. La vita di provincia non è molto apprezzata da Clément, un parigino doc abituato a trascorrere le sue giornate tra Convegni, Seminari e vernissages nel quartiere di Saint-Germain-des-Prés.
Per vincere la noia comincia a uscire con la ragazza del negozio di parrucchiere (una strepitosa Émilie Dequenne) vivace e solare con la quale nasce una storia. Jennifer cresce da sola un figlio che ama e cura con grande dedizione. È ovvio che i due vengono da differenti classi sociali e da mondi assolutamente diversi ed è tenero il processo di scambio – o almeno un tentativo – di incontrarsi a metà strada che avviene tra Clément e Jennifer. Lui le regala alcuni libri (da Dostojeskj a Kant) e, negli incontri in albergo tra un amplesso e l’altro, le legge brani di Proust o di Zola. Lei lo porta a ballare in un locale dove con due amiche cantano, aiutate da una specie di karaoke. Jennifer è molto felice ama dopo tanto tempo e dopo tante storie sbagliate spesso con uomini sposati; è una persona autentica e passionale conosce i suoi limiti e le sue paure mentre lui invece è piuttosto represso emotivamente, anche se in quella serata particolare si lascia andare per un attimo e riesce anche a ballare e cantare, ma le sue espressioni passano dall’imbarazzo allo stupore, dall’eccitazione al fastidio.
Tutti i loro riferimenti sono diversi e perfino andare il cinema può costituire una scelta disequilibrata. Per lei è inconcepibile che lui non abbia la TV e che non conosca, quindi, le molte trasmissioni su cui lei è ferratissima, ciononostante si mette a studiare con tenacia i libri che lui le ha regalato. L’amore sembrerebbe essere più forte delle differenze… ma fino a quando però? Dopo un paio di episodi che non narro, dove si sentirà terribilmente umiliata, Jennifer troverà il coraggio e la forza di scegliere l’amor proprio cantando con grande intensità nel finale la canzone “I will survive” di Gloria Gaynor.
Siamo ormai abituati a considerare la scuola belga una delle più interessanti espressioni cinematografiche europee. Émilie Dequenne, anch’essa belga, ha studiato musica e arte drammatica prima di essere scoperta dai fratelli registi Dardenne che la proporranno come protagonista di “Rosetta” con cui vincerà nel 1999 la Palma d’oro, premio come miglior attrice al Festival di Cannes; ha una faccia mobile che cambia moltissimo pur mantenendosi all’interno di uno stile di recitazione discreto quasi minimalista anch’esso tipico di questa scuola che Émilie contribuisce a divulgare. Ottima anche la colonna musicale di Frédéric Vercheval, compositore belga uscito dalla scuola di Anversa.