Pubblicato sul manifesto il 21 aprile 2015 –
Di fronte alla tragedia continua delle morti nel Mediterraneo, e alla miseria della politica degli stati europei e del mondo, incapaci di intervenire (o meglio indifferenti o cinicamente corresponsabili), avrei voglia solo del silenzio, o di una protesta tanto forte da cambiare le cose.
Accoglierò però il messaggio di un’amica sindacalista che mi suggeriva di guardare e commentare l’ultima puntata (per ora) del ciclo House of Cards (incautamente l’ho fatto per quella precedente…). Ci provo perché anche da questa fiction – rilanciata da tutti i media e dallo stesso dibattito politico – mi sembra emergere, nell’enfasi di un messaggio spettacolare (ma siamo immersi nella società dello spettacolo), una fortissima esigenza di cambiamento della politica. Del potere.
Non è un caso che a dare voce a questa esigenza sia Claire, la moglie del presidente Frank Underwood, una donna. L’abbiamo lasciata inquieta per il regime di scarsa verità e di comune devozione al potere che condivide col marito, e la ritroviamo in completa crisi. Non ne può più di sostenere il pessimo Frank, ritrovandosi sempre in posizione subalterna, accettando ogni compromesso. Lui non capisce e reagisce con violenza: “Siamo arrivati alla Casa Bianca, sei la first lady.., non ne hai mai abbastanza…”. “No – è la lapidaria risposta – sei tu che non sei abbastanza”. E lo lascia sul più bello della competizione presidenziale.
La frase è già un cult nella guerra dei sessi che tutti più o meno viviamo. Ogni donna e ogni uomo, credo, ci si possono in qualche misura ritrovare.
Non saprei se a muovere Claire sia più l’insoddisfazione per l’asimmetria del potere reale che condivide col marito (la poltrona e la scrivania del presidente sono inesorabilmente per una sola persona), oppure la nostalgia per una relazione personale e politica più genuina. In cui la politica guardi a qualche altra cosa oltre al successo personale a qualsiasi prezzo.
Resta che un moto di ribellione è attribuito a una diversa sensibilità femminile. E questo avviene mentre sulla scena “reale” della politica si annuncia la candidatura presidenziale di nonna-Hillary, e desta scalpore a Londra e non solo l’abbraccio in tv tra le tre donne leader dei partiti di opposizione (la scozzese del Snp Nicola Sturgeon, la verde Natalie Bennett e la gallese del Plaid Cymru Leanne Wood) di fronte al sorpreso laburista Ed Milliband e a un immalinconito Nigel Farage. Tre donne che guidano partiti popolari (se non populisti), due radicati localmente, ma orientati in senso progressista (difendono anche lo stato sociale e l’ambiente), dalla cui alleanza con il labour potrebbe dipendere la sconfitta dei conservatori e dei nazionalisti di destra di Farage.
Il femminile come valore?
Tutto ciò dovrebbe suggerire qualche riflessione a noi maschi. Enrico Letta, dopo un anno e mezzo di quasi-silenzio, è andato naturalmente in tv per annunciare che continuerà a fare politica ma in un modo del tutto diverso: si dimetterà da parlamentare, non avrà pensioni o prebende, ma si guadagnerà da vivere lavorando (insegnando a Parigi). Ha anche aggiunto che – vedi caso, all’opposto di Renzi – non sopporta House of Cards. “Dà una pessima idea della politica come intrigo – ha detto a Fazio – spero che questi personaggi non esistano nella realtà”.
Ma i primi commenti al suo annuncio ( Filippo Ceccarelli su Repubblica) lo interpretano proprio nella logica dei vecchi intrighi democristiani: mi sposto altrove, ma per tornare e colpire meglio al momento opportuno.
Insomma, anche lui “non è abbastanza”.