Locale / Globale

relazioni politiche, dal quartiere al mondo

Narrative di guerra/Sulla libertà di espressione

15 Gennaio 2015

pubblicato su www.olimpiabineschi.it

Il termine narrativa di guerra è diventata una definizione ufficiale del governo pakistano. I talebani nazionali (PTT) e non hanno adeguato la loro comunicazione agli strumenti offerti dai nuovi media e quindi bisogna adeguarsi e dare una risposta  anche a livello istituzionale. Così, dopo l’attacco alla scuola di Peshawar, che ha fatto 142 morti, di cui più di 130 bambine e bambini, la Standing Committee on Information, Broadcasting & National Heritage si è riunita alla fine di dicembre e ha presentato ai rappresentanti delle organizzazioni di media e giornalisti le sue “Proposals to Strengthen Media’s Role in Combatting Terrorism.” (Proposte per rafforzare il ruolo dei media nella lotta al terrorismo).

Oltre 20 pagine che ricordano agli addetti ai lavori quali sono le leggi e normative relative a diritti e doveri dell’informazione, e anche osservazioni e suggerimenti più ampi da seguire quando occorre riportare notizie di cronaca relative a fatti di sangue, propaganda terroristica e rapimenti. La commissione tiene a ricordare nella premessa che il Pakistan uno dei paesi asiatici dove la libertà di informazione gode di ampi margini: cosa vera, visto che tv e giornali riportano critiche e commenti all’operato del governo e dell’esercito, che oggi ha poteri speciali in nome della lotta al terrorismo, come il deferimento ai tribunali militari per i casi di terrorismo e il ripristino della pena di morte. Qui non si scherza. La  commissione ammette che il paese è “più vicino ai tempi di guerra che non a quelli di pace” e che stato, esercito e società civile sono unite nella lotta al terrorismo. E’ vero anche che la Pakistan Federation of Journalists (PFJ) ha ricordato che nel 2014 il paese ha visto morire otto reporter e sei operatori, il numero più alto del mondo seguito solo dalla Siria, che “i giornalisti vivono sotto la costante minaccia di omicidi, molestie e altre violenze da parte di attori statali e non. Il problema non è solo la sicurezza, ma anche disoccupazione e stipendi non pagati”. E’ vero che il Senato sta ancora discutendo ancora se riaprire l’accesso a Youtube, bandito per blasfemia più di due anni fa (ostacolo quotidianamente aggirato da chi ha un po’ di confidenza con il computer). E’ vero che l’International New York Times, che esce quotidianamente allegato all’Express Tribune, mostra a volte pagine bianche quando ci sono commenti espliciti al paese oppure foto di due signore in costume da bagno che prendono il sole.

In ogni caso, siamo in tempi di guerra, dicevamo, e la commissione recita che “quando si tratta di narrativa del contro-terrorismo media, governo e parlamento devono essere ‘on one page’ nella applicazione delle leggi esistenti e di quelle che potranno venire”, tra cui le “counter terrorism narrative policy guidelines”, ovvero l’elaborazione di specifiche linee guida. Le leggi che regolano i media e la libertà di espressione sono numerose, basti ricordare l’art.19 della Costituzione che recita: ogni cittadino avrà libertà di parola e di espressione e ci sarà libertà di stampa, soggette a ogni ragionevole restrizione imposta dalla legge nell’interesse della gloria dell’Islam o dell’integrità, la sicurezza o la difesa del Pakistan”. E’ quindi coerente che di quanto successo a Parigi si sia parlato in abbondanza ma nessuno si sognerebbe mai di pubblicare la copertina di Charlie Hebdo – laddove la blasfemia è un reato grave – in nome della libertà di espressione.

Se il controllo e il rispetto delle regole possono essere relativamente facili per stampa, radio e tv, la faccenda si complica quando si affrontano i nuovi media, tanto che il documento della commissione vi dedica meno di un pagina: non perché ci sia poco da dire o raccomandare, ma perché la rete è un ircocervo difficile da arginare. Tanto vero che anche in Pakistan su Facebook è possibile trovare di tutto e anche pagine ufficiali, come alcune delle polizie locali mostrano foto cruente di criminali uccisi o di minori rapiti e restituiti alle famiglie, contravvenendo a ogni raccomandazione in merito. Sicuro, come per i servizi di intelligence di ogni paese, che filtri e controlli sono sempre attivi, ma la navigazione quotidiana è un oceano difficilmente regolabile, basti l’esempio dei video che dopo la strage di Parigi continuano a comparire quotidianamente.

La commissione ne è ovviamente consapevole: “ Non possiamo semplicemente liberarcene (letteralmente ‘smoke them out’) (…) Deve esserci una strategia dei social media. Il flusso dell’informazione è stato spostato, così la strategia deve regolarsi su questo. Usando l’esempio dell’ISIS ci deve essere una legislazione che regoli i social media, assicurandosi primariamente che le strade dell’incitamento alla violenza, l’abuso e altro materiale pericoloso sia messo sotto stretta osservazione. L’approccio che porta i terroristi al reclutamento di altri deve essere ristretto e i messaggi fatti fuori. Se non ci preoccupiamo oggi della salvaguardia domani dovremo affrontare problemi più gravi”.

Insomma, imparare dal nemico sembra essere la strategia dell’oggi per il domani.

Olimpia Bineschi

@olimpia09

Tags: , , , ,

Featuring Recent Posts WordPress Widget development by YD