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Microcritiche / Viviane, il cammino della libertà

2 Dicembre 2014
di Letizia Paolozzi

imagesViviane, film di Shlomi Elkabetz e Ronit Elkabetz –

Nell’ultima inquadratura si vedono i piedi di una donna che cammina. Verso dove? Immagino verso quella irriducibilità di sé all’altro/a che è la libertà femminile. Che è ciò che abbiamo da pensare adesso.
E di cui parla il film diretto e interpretato da Ronit Elkabetz (attrice, ex modella, figlia di ebrei marocchini) e di suo fratello Shlomi, “Viviane”.
La libertà, qui, è l’obiettivo (ma quando mai non lo è?) di una lotta aspra, violenta, condotta nelle peggiori condizioni. Società, costumi, tradizioni, ortodossia religiosa inchiodano la donna a non ribattere. A non reagire.
La lotta si svolge tra le quattro mura di una stanza, aula di tribunale, in una località imprecisata di Israele, davanti all’”egregio rabbino”. Sfilano i testimoni dei due sessi. Da un lato la connivenza maschile. Dall’altro, la vicinanza femminile oppure la subalternità di chi accetta comunque il proprio destino di “senza voce”.
Viviane, la protagonista, invece reagisce. Vuole il divorzio. Ma in Israele c’è unicamente il matrimonio religioso. Dunque la nominazione del taglio dal marito può venire ratificato dal tribunale rabbinico se e solo se lui lo concede. Pronunciando le parole di rito che ne garantiscono il ripudio e insieme il consenso a che la moglie torni libera.
Viviane pretende quel consenso. Non si da pace. Caparbia, tenace, lo aspetta da cinque anni. Ubbidisce all’ “egregio rabbino”: torna a casa; si sottomette alla prova; si ripresenta in tribunale. Sfida tutti. Respinta, provoca. Si scioglie i lunghi capelli neri. Accavalla le gambe. Non sta “al suo posto”. Anche a casa gridava. Rompeva i piatti. Ora si aggrappa al banco dove siede accanto all’ avvocato: giovane, laico, senza kippah, è chiaro che la ama. D’altronde, i due sono stati visti addirittura! in un bar a parlare.
Ma Elisha Amsalem non vuole concederle il divorzio. “Ti amo” dice a più riprese spacciando la dichiarazione come prova di affetto. Ma forse la ama davvero: a suo modo. Anche se non la tocca; non la desidera; non le dimostra calore, desiderio, interessamento.
Comunque, Viviane non può lasciare quest’uomo devoto. Il ruolo femminile deve fare i conti con la famiglia, l’autorità cieca della legge (in effetti, spiegano gli autori del film, la moglie è “imprigionata dalla legge”) e dalla società nella quale Elisha Amsalem rappresenta l’universale.
Costretto dal tribunale rabbinico, non si presenta in aula. Cova gelosia e vendetta nel fondo del cuore. Per questo ha allungato i tempi, per portare la moglie all’esasperazione. Ma Viviane ormai ha rotto i legami con quell’uomo che forse ha amato.
Per quanti siano i ricatti, le umiliazioni, sarà padrona del proprio destino. Comunque. I piedi di Viviane, dopo tante scarpine con il tacco, questa volta calzati umilmente, la portano a riprendersi la sua libertà

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