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Microcritiche / Cose belle e no a Napoli

9 Agosto 2014
di Letizia Paolozzi

imgres-1I fenomeni musicali, il teatro e soprattutto il cinema, la televisione (io sono addirittura fan degli intrecci ripetitivi di Un posto al sole), hanno oggi un linguaggio capace di entrare dentro Napoli con maggiore sapienza delle relazioni accademiche o delle analisi politiche.
Entrare in una città dove Le cose belle avvizziscono. Lo testimoniano quattro ragazzi incontrati quindici anni fa dai due documentaristi Agostino Ferrente e Giovanni Piperno. Avevano dei sogni piccoli piccoli, quei ragazzi. Rincontrati oggi, capisci che il futuro gli è sgusciato tra le mani, mangiato dai cumuli di immondizia.
Adele, Silvana, Fabio, Enzo sono cresciuti in un diviso tra normalità e eccesso. Perseguitato dal cliché: panni stesi nei vicoli anfosi, muri scrostati, edilizia che, al contrario di ciò che teorizza Renzo Piano, forse non vale la pena di rammendare.
Nelle Cose belle Enzo girava accompagnato dalla chitarra del padre per i ristoranti. Voleva diventare un cantante. Ora prova a vendere contratti telefonici con il porta a porta. Fabio disprezza quel porta a porta. Si trascina, annoiato, in una “infelicità senza desideri” mentre Adele e Silvana, si arrangiano: visite al carcere minorile di Nisida, lavoro senza senso; genitori che hanno abdicato da subito al proprio ruolo. L’immondizia invece sta ancora lì, da quindici anni. Per sopravvivere, devi passarci accanto senza vederla.
A Scampia immagino che succeda qualcosa di simile. Di fronte alla violenza scorre la fatica di ogni giorno. Ma nel kolossal televisivo Gomorra- La serie, venduto in mezzo mondo, arrivato ora in Inghilterra, paragonato ai film di Tarantino, è la faccia violenta che si mostra, quella della guerra tra clan, dello scontro giovani-anziani; dell’ostentazione del lusso nel salotto del boss Savastano. Crudeltà; altalena del potere accanto a una storia di fatiche, di privazioni che puoi solo immaginare.
D’altronde, non accade soltanto al cinema che la violenza sfiori la normalità. Al Sud, nelle processioni, ‘ndrangheta, mafia e camorra spesso si mescolano al popolo ribaltando l’atto di fede nel suo opposto. E’ successo anche a Oppido Mamertino che facessero inchinare la statua della Madonna davanti alla casa del mammasantissima.
D’altronde, un confine sottile divide questi due mondi. Il cinema può scegliere l’uno o l’altro. Mostrarne la compresenza. In Song’e Napule dei Manetti Bros, il discorso sulla criminalità si intreccia alla musica neomelodica. E un pianista senza lavoro, per via di una raccomandazione, si ritrova infiltrato nella band che suona per i matrimoni della delinquenza. Disoccupazione, corruzione, musica, malavita: anche qui, uno potrebbe obiettare che si tratta di luoghi comuni. Io direi che sono i Tags della vita. Messi in fila, raccontano lo spreco di esistenza in una città come Napoli.

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