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Living Pakistan/ Sola, opzione non contemplata

3 Aprile 2014
di Monica Luongo

Stare da sole. In Pakistan ogni donna può andare in giro da sola, ma sia in città che nei piccoli centri per svariati motivi passeggiare senza compagnia non sembra una opzione possibile. In una società fortemente patriarcale la solitudine non è certo incoraggiata:  gli uomini e le donne sono sempre in compagnia di familiari e amici e se te ne vai in giro da sola sicuramente hai qualche motivo di disagio. Qualche giorno fa ho scelto di fare una passeggiata al Forte di Lahore, patrimonio dell umanità e protetto dall’Unesco: un complesso gigantesco ricco di giardini e fontane, molte le famiglie che vi trascorrono il tempo libero. Niente dunque di più sicuro e tranquillo, se non per il fatto che appena seduta sull’erba sono stata avvicinata più volte da donne gentili e curiose che mi chiedevano cosa facessi li’ da sola prima ancora di domandare da dove venissi. Sono sempre impressionate dal fatto che tu vada in giro senza avvertire il bisogno di compagnia e che in caso dovessi ammalarti la tua famiglia e’ lontana, sono rassicurate dal fatto che tu abbia un marito, preoccupate per il tuo futuro se ancora single. E ti raccontano che loro si muovono sempre con una sorella, una cugina, una amica, i figli. Non credo dipenda solo dagli uomini che hanno in casa, quanto piuttosto dal vivere in un sistema di clan, che parte dal nucleo familiare (i fratelli che lavorano sempre insieme, le proprietà da dividere con i cari, gli anziani sempre in casa) e termina con la condivisione dei beni, delle terre e delle case, e spesso e diffusamente nelle aree rurali le donne sono parte del patrimonio in solido, date in cambio di terra, in segno di pace a sigillare la fine di un conflitto o proprio all’uopo di frammentare il latifondo.

Gli uomini dal loro canto ti invitano a sederti tutte le volte che esci dall’albergo per cercare un taxi o entri in un negozio per ricaricare il cellulare: stare in piedi li infastidisce molto, ancora non ho capito perché, hai la prima sensazione che sia un gesto di cortesia ma il tono di voce li tradisce, quando si rivolgono alle donne suona molto spesso come un ordine, qualcuno a cui impartire istruzioni o comunicare disposizioni. Così faccio qualche fatica a stare sola, a godere di quelle che Virginia Woolf chiamava epifanie di felicita, che una giornata di sole ti può regalare o momenti di silenzio che puoi avere solo al chiuso della tua stanza.

Sentirsi sole. E’, invece qualcosa che accade spesso, sentirsi soli e’ quando non riesci a condividere qualcosa, un momento di intimità, una risata, uno stato d’animo. E quindi passeggiare da sola è inusuale, essere scarso oggetto di cura è naturale. Sebbene da un anno stia vivendo tra il Pakistan e l’Italia (non e’ molto ma nemmeno poco, vista la qualità del lavoro e l’intensita delle relazioni) e stia cercando di far parte del tessuto quotidiano delle realtà che abito, mi trovo in alcun momenti a vivere una solitudine profonda perché ci sono cose che non potrò mai capire, lo so. Dello stare sole di cui dicevo prima mi manca la comprensione di alcuni aspetti della struttura sociale o piuttosto l’incapacita di vivere dentro un sistema che nella mia cultura ho contribuito a scardinare. Di questa altra solitudine soffro quando la frizione di civiltà, chiamamola così, si fa troppo stridente. E mi succede con uomini soprattutto, acculturati e non, tradizionalisti e liberal, come amano definirsi molti. Il corpo femminile, e io in particolare non in quanto bella ma in quanto straniera, diventa desiderato e pure intoccabile nel senso letterale del termine. La mancata libertà sessuale rende gli uomini goffi e inesperti, le donne inconsapevoli e frustrate, mi chiedo quale felicità’ ci possa essere nella mancata condivisione dell’intimità che da’ piuttosto spazio a un desiderio maschile in cui la reciprocità e’ assente, così come e’ latente negli spazi pubblici, dove le donne e gli uomini hanno aree dedicate nelle moschee e alle feste di matrimonio, all’università e sugli autobus. Gli amici te lo raccontano volentieri cosa fanno dentro il letto, direi soprattutto cosa non fanno, mentre le donne sono più reticenti perché non ne parlano nemmeno tra loro e molte ignorano che può esistere una vita sessuale diversa al di fuori di quella che vivono con mariti e amanti. Oltre questa sfera, c’e’ la quotidianità spicciola fatta di inviti a cena in cui chi ti ha invitato ha cambiato programma senza dirtelo, oppure giunge con due ore di ritardo senza nemmeno avvisarti; abbracciarti e baciarti sono riverberi di rituali lontanissimi. Certo, potrei dire che si tratta di cattiva educazione, ma non e’ solo quello, ne sono convinta: e’ la conseguenza neurologica e comportamentale di pensare un mondo che esclude le donne da qualunque processo decisionale e dunque di condivisione. E seppure con me si può parlare di tutto, alla fine sono pur sempre un essere vivente dotato di vagina, e dunque estromesso dalla catena del potere e dell’autorità, che quando sono di buon umore mi fa pensare a quando in casa non esisteva il telecomando della tv e mio padre e mio nonno ordinavano a noi bambini di alzarci per cambiare canale, quando  tutto questo mi fa arrabbiare penso che sono una entomologa alle prese con un nuovo scarafaggio di cui non ho ancora compreso la fisiologia.

So che gli uomini qui non sono tutti così, soprattutto i giovani, desiderosi di pensare un futuro diverso anche all’interno delle relazioni, e qualcuno dei miei amici non sarà felice di leggere queste righe, ma finché non se ne comincerà a parlare, gli uomini con gli uomini e le donne con le donne, prima ancora che tutti insieme, la brutta sensazione della solitudine rimarrà anche nel cuore delle pakistane.

 

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