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In una parola / Gusto (buon)

16 Aprile 2014
di Alberto Leiss

Pubblicato sul manifesto del 15 aprile 2014 –

Nel delizioso libretto di Alfred Brendel Abbecedario di un pianista (Adelphi) alla parola gusto l’autore ricorda che il termine era usato frequentemente nella famiglia Mozart. Il gusto nell’esecuzione musicale: uno stile che cambia a seconda dell’esecutore, dell’epoca e delle diverse culture nazionali. “La musica – scrive Brendel – viene spesso accostata a linguaggio, colore o architettura, ma qui è in primo piano l’associazione con il gusto inteso come sapore. “Con gusto” incoraggia l’interprete ad addentare il pezzo con piacere”.
Basta aver ascoltato certe esecuzioni dello stesso Brendel, per esempio di alcune sonate per pianoforte di Haydn, notevolmente saporite, per capire di che cosa si parla.
Viviamo tempi di acuta crisi in cui però si diffonde sempre di più il gusto per il cibo sano e buono. Anche persone non particolarmente benestanti si organizzano, con gruppi di acquisto, scelte accurate nei mercati giusti, e si dedicano in proprio all’arte della buona cucina, per soddisfare al massimo questo piacere non secondario della vita.
Ci sono naturalmente anche gli eccessi consumistici e le insopportabili enfatizzazioni del marketing. Ma si potrebbe immaginare che una tale inclinazione si sposi a una propensione più generale al buon gusto anche nelle altre esperienze e negli scambi sociali.
Non si direbbe che le cose vadano così, almeno stando al discorso pubblico prevalente, veicolato dai media. E’ vero che nei messaggi su face book o su twitter, accanto agli insulti e ai giudizi trancianti, a un cattivo gusto apparentemente imperante, si trovano anche squarci di piccola poesia, e spesso citazioni musicali, o fotografie particolarmente attraenti. Immagini curiose di animali e bambini. Segnali di un desiderio di comunicare e di comunicarsi con un linguaggio che non disdegna sentimenti di apertura e sensibilità estetica.
Ma come sappiamo, sono le cattive notizie e le male parole che spesso (quasi sempre) prevalgono.
Sulla scena politica la parola d’ordine è il cambiamento, ma non vedo ancora in giro uno stile che interpreti un mutamento realmente desiderabile. Mi sembra di cattivo gusto, per esempio, polemizzare a sinistra attribuendosi reciprocamente la colpa di essere in realtà di destra. Caro Renzi, le tue riforme sono di destra, e non diventano di sinistra solo perché le propugni tu (magari alla guida di qualche ruspa o rullo compressore). Caro Cuperlo, ma se la sinistra non cambia diventa destra!
Torniamo un momento alla musica. Ho letto (sul domenicale del Sole 24 ore ) che Einstein ha affermato che c’è qualcosa di musicale nella fisica quantistica. E’ stato scritto un libro che sviluppa questa intuizione: le note si comporterebbero un po’ come le micro-particelle della materia, nei loro giochi di indeterminazione e di mutamento di significato a seconda dei diversi contesti. Spostamenti minimi sovvertono radicalmente il senso di un’armonia, e mutano lo sviluppo e l’espressione di un canto.
Mi chiedo se questa contiguità tra quanti e musica non possa suggerire qualcosa anche al discorso pubblico e politico: tagliare i concetti con l’accetta non è detto che renda le cose più comprensibili e produca il maggiore effetto. Il cambiamento più radicale, e anche più capace di commuovere, può essere agito operando uno spostamento minimo. Che capovolge un contesto di idee e di sentimenti. Credo però che sia necessario dirigerlo con gusto, con stile.
Giornalisti e politici forse dovrebbero ascoltare più spesso Haydn e Mozart? Perche no.
(Per chi volesse approfondire la faccenda dei quanti e delle note il libro segnalato è “Dall’informazione quantistica alla musica”, Aracne, scritto da Maria Luisa Della Chiara, Roberto Giuntini, Eleonora Negri, Riccardo Luciani)

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