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relazioni politiche, dal quartiere al mondo

Servizio civile, ma come e per chi?

3 Marzo 2014
di Letizia Paolozzi

Servizio civile. Viene proposto da più parti, ma sottovoce. D’altronde, dove trovare i soldi per finanziarlo? Su quali obiettivi impegnare le giovani generazioni? Per quanto tempo? Deve essere o no obbligatorio? Quale l’adeguamento degli obiettivi al budget?
In Italia è stato sperimentato il servizio civile volontario. Circondato da un grande interesse, a Milano (scriveva “Il Corriere della Sera”) nel 2013, per il bando scaduto il 4 novembre, sono arrivate 639 domande per 62 posti. Non c’è chi non veda il divario tra aspirazioni e possibilità reali. D’altronde, in tutto il paese hanno potuto svolgere il servizio civile solo 15 mila giovani.
Situazione non tanto diversa in Francia dove il servizio civile proposto dal governo di Hollande e da quello precedente, ha fatto passi da gigante. Di interesse generale, le missioni sono finanziate con 467 euro al mese; abbracciano una fascia dai sedici ai venticinque anni e occupano da sei a dodici mesi. Nel 2010, quando è nato, il servizio civile ha occupato seimila giovani; nel 2013 sono stati 30.000. Un successo tanto rapido da preoccupare la Corte di conti francese.
Qui da noi, nelle discussioni sulla cura che si sono tenute e continuano a tenersi, di servizio civile ha parlato Alberto Leiss. ”Ora che la leva obbligatoria non c’è più, si potrebbe pensare a un servizio civile esplicitamente pensato anche per aiutare a sostituire con qualcos’altro la nostra (di maschi) autorità smarrita” traducendo le immagini della sua Liguria ferita dalla furia del cielo e dall’incuria degli uomini ma anche il portato di speranza di quei ragazzi e ragazze che si sono precipitati a togliere via il fango dalle strade.
Molte le aree nelle quali i ragazzi e le ragazze potrebbero muoversi: assistenza, protezione civile, patrimonio artistico e culturale, educazione. Un’esperienza che ti da l’impressione di svolgere un impegno sociale utile e di acquisire competenze in termini di inserimento professionale.
Una generazione che si assuma i compiti di cura per rispondere al bisogno, per incontrare l’Altro. Un periodo dopo la scuola media o durante o dopo l’università nel quale ragazzi e ragazze ricevano una qualche forma di salario minimo o reddito di cittadinanza.
Un esercizio di attenzione attraverso la tessitura di legami.
Non so se possiamo considerarlo una forma di welfare. Certo, è un lavoro di cura, quel lavoro invisibile svolto nel passato (e ancora oggi) dalle donne ma che potrebbe diventare un interesse, un impegno, un’attività. Anche perchè aumentano i ranghi di quel “problema allucinante”, direbbe Matteo Renzi, che è la disoccupazione giovanile.
Ma accanto alla mancanza di lavoro cresce lo stato di emergenza relazionale nel quale si trova la società. E’ uscita sui giornali in questi giorni la notizia di un diciottenne ucciso dal branco a Ercolano. Poche ore prima aveva postato su Facebook l’ecografia della sua compagna incinta: “Saremo in tre”. Si era fatto fotografare – capelli rasati ai lati – su una moto di grossa cilindrata, fumando quella che somiglia a una canna. “Faccio tutto quello che mi pare” aveva scritto sulla sua pagina Facebook. Ricorreva alle armi facilmente. Aveva accoltellato un ragazzo per una pallonata. L’omicidio è avvenuto forse per vendetta dopo una lite scoppiata davanti a una gelateria ai confini tra Ercolano e Torre del Greco.
Ma la “black list” delle baby gang si allunga. Di notte svegli e di giorno dormono. Con un bassissimo livello di scolarità. Cresciuti in famiglie disastrate, nel degrado, le loro sono vite ai margini.
Naturalmente, il rapporto tra quel diciottenne e tanti altri che pure soffrono di marginalità economica non è meccanico. Tuttavia, l’assenza di legami pesa quanto la mancanza di beni. Se volete un esempio che parla di generazioni differenti, sappiate che al Vomero una madre, ex insegnante, signora pare inappuntabile quanto all’abbigliamento, ha segregato la figlia trentaseienne per otto anni. L’amministratore dell’appartamento, il portiere erano d’accordo. L’estensione di comportamenti sociali sempre più chiusi, individualistici, violenti mette paura. Proporre strumenti per un cambiamento delle mentalità, perché le nostre azioni non si emancipino (anche in ragione della tecnologia) dai vincoli morali, ritrovare un senso e alimentare comportamenti virtuosi, significa convincersi che nessuno di noi vive in un mondo a parte. Può darsi che il servizio civile sia uno di questi strumenti.

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