Sono stata in alcuni villaggi Moso nell’ottobre 2010 grazie all’intermediazione di una donna che aveva visitato quei luoghi diverse volte. Un resoconto di quel viaggio è contenuto nel racconto ”il piccolo Buddha dei Moso”pubblicato sul numero 96 di Via Dogana nel marzo 2011.
Ero andata fin la’ non per un viaggio turistico ma per verificare se davvero ci fosse una societa’ senza violenza contro le donne. Il problema infatti mi stava molto a cuore e avevo bisogno di capire dove si annida la radice dei femminicidi, della insostenibile invisibilità sociale delle donne,della loro vulnerabilità. Certo il contatto con quelle persone,uomini e donne, è stato fecondo, ma
alla luce delle numerose interviste fatte, il quadro che emergeva era diverso da quanto raccontato nei libri,ormai numerosi,o nei vari reportage che puntualmente vengono trasmessi su Artè.
La società Moso è in via di trasformazione, il turismo di massa introduce nel sistema economico ,inizialmente fondato su principi comunitari e solidali, elementi che vanno a disgregare quell’assetto.Non sarà indolore la trasformazione da un’economia di sussistenza ,che ha tenuto per secoli, ad un’economia di mercato che produce divisioni e disuguaglianze. Ma al di là di questo, ciò che mi ha fatto problema nell’accostarmi a questa realtà sono stati due aspetti, sui quali mi vorrei un attimo soffermare.
Le donne Moso, anche quelle più autorevoli nella loro cerchia familiare, non mostrano alcun interesse ad occuparsi della cosa pubblica: la politica sembra affidata interamente alla gestione degli uomini. Alla richiesta da parte nostra del perché rispondevano invariabilmente che erano troppo occupate nella gestione della famiglia e dell’economia familiare per avere poi voglia di fare altro e di occuparsi dei problemi del villaggio.
Il secondo punto è ancora più spinoso per me: donne e uomini Moso antepongono sempre i bisogni della loro famiglia a quelli individuali. Siamo ancora in una fase dove, direbbe Toynbee, il genos ha l’assoluta prevalenza sulle scelte dei soggetti. Questo aspetto è per me dirimente: negli anni settanta c’era un famoso manifesto che più o meno diceva cosi’ ‘io sono figlia di…sorella di…moglie di …madre di…ma io chi sono?’ nelle rete degli obblighi familiari benchè accettati e condivisi il rischio è quello di un’assenza profonda di libertà. Noi avevamo teorizzato la necessità di essere libere da ruoli imposti per poter essere libere di
essere noi stesse .
Ma il libro di Yang Erche Namu, famosa cantante Moso, dà conto, meglio di quanto non faccia io in queste poche righe,
di come i problemi siano complessi anche per le donne Moso.
Quanto ad Heide Abendroth Gottner, tanto di cappello per le sue ricerche, ma che delusione nel vedere al convegno di St. Gallen sui matriarcati che le partecipanti si inchinavano al suo cospetto e facevano veri e propri gesti di sottomissione e di venerazione nei suoi confronti. No,non è quella la direzione.
Articoli precedenti:
Bia Sarasini: I Mosuo, il popolo dove comandano le donne
Nadia Tarantini: Comando? È sbagliato dirlo per le donne Mosuo