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Ebrei, gay, donne: gli equivoci della legge

31 Ottobre 2013
di Letizia Paolozzi

L’eventualità di una legge sul “negazionismo” (agitata tra contrasti in questi giorni in Parlamento) è stato accolta – anche se il ceto politico non sembra darsene per inteso – da una levata di scudi da parte di intellettuali accorti e sapienti.
Sono in tanti a dubitare dell’efficacia di legiferare sulla “verità storica” e sul ricorso alla pena come privazione della libertà. Eppure si insiste compattamente nella foga iperlegislativa. E se la Francia si è dedicata alla produzione di varie lois mémorielles in Italia manca qualsiasi interesse a sollecitare una discussione che aiuti la presa di coscienza, che tenga conto del pluralismo delle opinioni.
Invocare l’intervento dello Stato che decida moralmente e giuridicamente sulla memoria significa – secondo me – escludere che si possa trarre una lezione dal passato. Ma senza un simile lavoro, è la memoria ad affievolirsi via via che la storia viene costretta in una linea giuridica ufficiale.
Linea ufficiale fino a un certo punto dal momento che la morte di un vecchio carnefice, Erich Priebke, è stata accompagnata da un bailamme di ordini contradditori: no al funerale, dirà il sindaco di Albano Laziale, mentre il prefetto aveva dato il via libera alle esequie. Con il risultato che un gruppo di persone ha pensato di rendere impotente l’immagine dell’ex capitano nazista prendendo a calci la sua bara. Scena terribile ma anche reazione a un caos di norme e comportamenti contraddittori tra loro.
Un filo lega il disegno di legge sul “negazionismo” al decreto-sicurezza convertito in legge che accosta i furti del rame alla violenza sulle donne e anche alla volontà di combattere l’omofobia sempre pescando nell’ordinamento legislativo. Rispetto al “femminicidio”, la presidente della Commissione Giustizia Pd della Camera, Donatella Ferranti, ha difeso le falle del decreto dicendo che le donne “vanno protette da se stesse”.
Quanto all’omofobia, invece di affrontarla nella scuola, nella famiglia (Simone, morto suicida a Roma pochi giorni fa, probabilmente era uno tra i tanti ragazzi che aveva paura di essere rifiutato per le sue scelte; uno dei tanti “feriti sociali”, come Papa Francesco ha chiamato gli omosessuali), invece di lavorare al cambiamento delle mentalità, a smontare l’intolleranza, in Parlamento ci si è impantanati in una discussione che rischia di accrescere la discriminazione nei confronti dell’omosessuale mentre minaccia la libertà d’espressione, con strani distinguo tra responsabilità dei singoli e di associazioni varie.
Naturalmente, nella loro drammaticità le questioni che ho nominato sono molto distanti una dall’altra. Eppure possono essere avvicinate da un filo, quello della legge che dovrebbe mettere ordine vietando e punendo.
In generale, la legge rispecchia determinate concezioni culturali, specifici modi di vedere, di interpretare la realtà. Nel caso degli ebrei, delle donne, degli omosessuali, si parla di loro diritti sacrosanti ma si finisce per presentarli con lo statuto della vittima. Solo così, sembrano suggerire e ribadire gli esempi legislativi citati, possono farsi accettare dall’opinione pubblica?

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