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relazioni politiche, dal quartiere al mondo

Femminicidio, una legge oscena

10 Ottobre 2013
di Elettra Deiana

La Camera dei Deputati ha licenziato il cosiddetto pacchetto sicurezza. Legge regressiva in generale, perché ispirata a una idea pan penalista dello stato di diritto, e offensiva per le donne, per la parte che riguarda la violenza nei loro confronti. Le mette insieme ai furti di rame sui binari, all’uso dell’esercito conto i No Tav, alle frodi fiscali e altro.

Bisogna dirlo con estrema chiarezza che la legge è oscena, e c’è solo da augurarsi che inciampi al Senato o, finalmente, accenda qualche reazione adeguata nel mondo delle donne. Ma forse non succederà, perché i tempi sono quelli che sono, e così un’altra pagina oscura passerà come un sorso d’acqua. Legiferare in clima d’emergenza, come succede sempre più spesso, sotto la pressione mediatica e subendo il condizionamento di campagne di opinione infiammate, sull’onda dell’ultimo episodio, è quanto di peggio possa fare il Parlamento della Repubblica. Ma oggi la politica, che dovrebbe per suo mestiere e vocazione, costruire le condizioni di un altro modo di procedere nell’attività parlamentare, ha abdicato al suo ruolo, e questa è diventata la norma.

E’ quindi soddisfatta Donatella Ferranti, del Pd, presidente della Commissione Giustizia della Camera e relatrice in Aula, che con sicurezza degna di miglior causa ha sentenziato che “le donne ora potranno contare su un tutela più attenta e incisiva”. Donne finalmente sotto tutela: questo il messaggio che il Parlamento trasmette alla società. Protette grazie a varie aggravanti del reato di violenza: la relazione affettiva “a prescindere dalla convivenza o dal vincolo matrimoniale”, per esempio. A quando allora un parametro statale per stabilire più precisamente quanto di quella relazione valga? Se è una relazione molto seria e impegnativa, aggraviamo la pena un po’ di più? E gli anni di relazione non li vogliamo contare? Se dieci un x in più? E se due invece un x in meno? Impazzimento della maionese giuridica.

Allo Stato – questo l’aspetto più negativo, evidente nella pretesa di imporre alla donna l’irrevocabilità della querela nei casi gravi, e di concederla in quelli meno gravi, ma sotto giudizio del magistrato – viene attribuita una responsabilità giuridica che non gli compete, perché tocca intimamente la faglia densa di inestricabili contraddizioni che, per ogni donna, sta nel rapporto tra pubblico e privato, tra personale e politico. Una dimensione – lo sappiamo bene – spesso opaca, indecifrabile, inafferrabile, dove agisce la seduzione dell’amore, il coinvolgimento delle emozioni, spesso anche negative, non di rado una vera e propria trappola d’amore, talvolta mortifera. E tuttavia di natura tale da eccedere sempre il rapporto che la legge sul piano generale stabilisce tra lo Stato e le sue cittadine.

Solo lei – quella donna colpita, malmenata ma lei sola – alla fine deve decidere della sua vita, perché solo lei può farlo. È su questo che si deve lavorare. Dare ogni aiuto alla donna che si rivolge allo Stato, fornendole ogni possibile mezzo perché sia lei stessa a rompere la trappola è una cosa. Che va fatta, con mezzi e sapienza. Invece procedere con autoritaria scelta unilaterale “per salvarla” è la cosa che non va fatta, che alimenta una visione vittimistica delle donne e cancella del tutto la radice femminile e femminista che ha cambiato lo sguardo sulle cose. Quello sguardo, per esempio, che ha svelato l’esistenza della violenza sessuale sulle donne. Non fatto domestico ma sociale, non personale ma pubblico.

Femminicidio, parola urticante e ancora sgradevole ai più, ha avuto la forza di svelare il lato oscuro dei rapporti tra i sessi, il rimosso della sessualità maschile nel confronto/scontro con un mondo delle donne che ha rotto schemi, ordini del discorso, priorità. E che ha mandato in tilt molte sicurezze maschili, a cominciare da quella di avere a disposizione il corpo delle donne. Ma per una sorta di diabolica torsione quella parola è stata sottoposta ad abuso semantico e simbolico, per rappresentare le donne come vittime, minus habens da tutelare, pretesto per alimentare le politiche securitarie oggi largamente invalse per dare risposta e tutto.

Il tutto con i furti di rame sui binari, le mobilitazioni No Tav, le frodi fiscali, i vigili del fuoco e le Province. Quale copertura migliore del femminicidio per far filare quel decreto senza intoppi nelle aule parlamentari?

Bisognerebbe parlarne seriamente.

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