Merci / Desideri

produrre e consumare tra pubblico e privato

Camusso dice “cura”. Ma non basta la parola

14 Febbraio 2013
di Clelia Mori

Uscendo dalla terza riunione tra sindacaliste e femministe su Precariato e Paestum a Reggio Emilia, le sindacaliste mi consegnano un giornale Cgil in cui c’è l’intervento del loro Segretario generale Susanna Camusso, alla presentazione del Piano del lavoro, dal titolo: “Cura del lavoro e del Paese”, e lo fanno ironizzando sulla cura, di cui mi sanno appassionata, nell’indicarmi il titolo e dove era finita la cura stessa.

Dopo pochi giorni lo leggo cercando proprio il senso con cui il Segretario (una donna di cui conosco abbastanza le posizioni sul femminismo fino a “Se non ora quando”) tratta l’argomento, che è stato recentemente sdoganato dal documento sulla “Cura del vivere” del Gruppo del mercoledì di Roma e discusso a Reggio due volte, anche in Cgil, con Letizia Paolozzi e Alberto Leiss. E cerco di capire come lo innesta Susanna nel discorso del più grosso sindacato italiano, dove gli uomini e il loro modello di vita la fanno da padroni anche per le donne. Per me, come lo metterà in pratica è fondamentale!

Quando uscì la Cura del vivere tirai un profondo respiro di sollievo perché la cura che io facevo alla vita, come quasi tutte le donne silenziosamente, tornava ad essere affrontata dal femminismo come una questione fondante dello stare nel mondo, fuori dal concetto di lavoro a cui era stata accumunata per dargli dignità e valore dalle donne dei partiti della sinistra e fuori dall’interpretazione patriarcale degli uomini di destra e di sinistra compresi quelli del clero. La cura, veniva detto,”non si compra e non si vende”, non è neanche quella ospedaliera, ma “un di più” che tiene insieme le relazioni della vita. Finalmente non lavoravo più 24 ore al giorno e basta, ma facevo – facevamo qualcosa di importante: se smettessimo di farlo quasi crollerebbe il mondo. Mi sentivo finalmente completa. E per me c’era un precedente sulla cura anche in “Primum vivere. Immagina che il lavoro…” del Gruppo lavoro della Libreria delle donne di Milano, insieme a una discussione uscita al convegno del 2010 a Torreglia dell’Associazione Identità e differenza.

Leggo tutto l’intervento di Camusso e in fondo alle tre fitte pagine trovo finalmente il breve riferimento alla cura & coccole delle donne. Ma mi scatta un’irritazione che non mi va via. Non trovo, non c’è un particolare legame tra cura e progetti del sindacato se non come a un metodo femminile di riferimento nel processo di cambiamento che il Segretario butta lì alla fine, slegato dal resto. Dovrebbe farmi contenta che finalmente la cura entri anche in luoghi “proibiti” e per bocca del suo Segretario. Ma tante volte, quando ero nel partito e ci sono stata quasi 30 anni, ho sentito usare parole del femminismo in modo curioso e mi sono stancata.

Per esempio: era finalmente arrivato il concetto di differenza di sesso, ma veniva usato dalle donne come se fosse quello di parità, erano parole intercambiabili e volutamente non elaborata era la differenza: così non c’era motivo di critica femminile più di tanto al modello del partito, ovviamente maschile. La differenza perdeva di senso, svuotandosi simbolicamente. Il sesso e il genere erano la stessa cosa e via di questo passo, con l’organizzazione femminile che ricalcava in piccolo quella maschile e una sola rappresentava tutte le altre donne, mentre chi come donna aveva assunto un ruolo di potere poteva anche non parlare come tale ma unificare il suo dire a quello maschile. Comunque, così facendo, si dava a vedere che le donne del partito erano al corrente del dibattito femminista, pur disfacendo piano piano la sua tela e ritessendola a proprio uso e consumo in un partito ceh restava determinato dagli uomini.

E allora questa irritazione mi è rimasta addosso e mi riaffiora il dubbio prepotente con Susanna e mi chiedo: ma come fa la sua cura a passare come metodo e pratica tra uomini se non c’è stata prima una messa in discussione, pubblica e contestuale al Piano del lavoro, del modello maschile su cui è impostato il fare sindacato nella Cgil, la sua idea della vita e del tempo, del potere e della forza?

Non è che in tutto questo tempo gli uomini del sindacato non abbiano visto la cura che le donne compiono, l’hanno vista sì, così come l’ha vista anche la Banca d’Italia, ma non l’hanno mai pensata importante per la vita delle persone, nonostante la grande quantità di donne che sono entrate da tempo nel mondo del lavoro portando anche i loro problemi. Non hanno usato la leva della cura per cambiare le regole organizzative e produttive del lavoro. La stessa Susanna, il PD (e il Pdl) non hanno quasi battuto ciglio quando Mario Monti e Elsa Fornero hanno innalzato l’età pensionabile delle donne, trincerandosi dietro “lo chiede l’Europa” e mettendo quei risparmi nel calderone generale del mercato e della politica istituzionale ma non in capo alle donne, che dovranno continuare a fare il doppio o il triplo per tenere in piedi la vita di tutti e la propria, non essendoci uno straccio di altre riforme in vista, mentre il “reddito di esistenza” è di là da venire, con il welfare che muore.

Ma quanta cura dovremo sfornare ancora, prima che si capisca la profondità della crisi maschile?

Ci sono uomini senza autorità, che nella politica e nell’economia in vista delle elezioni se le stanno dando di santa ragione fingendo di farci credere che lo fanno per noi, anche se non siamo mai nei loro discorsi e nelle loro pratiche, e non è che Susanna Camusso abbia detto : voi uomini dovete prendere coscienza dei vostri limiti, anche voi del sindacato, perché è  vostra la crisi di questo mondo; visto che siete comunque figli, mariti, amanti e padri di donne e che il mondo non può più girare solo sul vostro modo di immaginarlo.  Non cambiare produce male d’essere anche per voi, non solo per noi donne.

Forse il Segretario della Cgil ritiene che la cura sia già un patrimonio interscambiabile tra uomini e donne e che basti nominarla. Ma non è così. Se lo fosse sarebbe già iniziato un cambiamento che per ora neppure con gli occhiali rosa si vede nella gestione del potere.

 

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