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relazioni politiche, dal quartiere al mondo

Le primarie nel “teatro d’ombre” della rappresentanza

4 Dicembre 2012
di Letizia Paolozzi

La rappresentanza è in crisi. Tuttavia, le primarie del centro-sinistra si sono tenute “come se” crisi non ci fosse. “Come se” i politici non fossero impotenti a rispondere ai sussulti del capitale finanziario. “Come se” potessero fare qualcosa di diverso dal rispetto del Fiscal Compact. “Come se” il profitto (enorme) di qualcuno non venisse prima dei bisogni di tanti (“Siamo il 99%”).

Peraltro, nessuno sa con quale legge elettorale andremo a votare. Eppure  sarebbe quasi tempo di raccogliere le firme per le candidature. Da questo punto di vista, le primarie somigliano a uno spettacolo elettorale in un “teatro d’ombre” (definizione del filosofo Alain Badiou). Ma a queste stesse primarie, visto il successo, si attribuisce il merito di aver sconfitto l’antipolitica. E allontanato il Monti bis dimostrando che forse esiste qualche politico (nonostante la casta e i suoi tentacoli) migliore dei tecnici. 

Molti e molte si sono appassionati al “teatro d’ombre” come a una gara vera dove il sindaco di Firenze interpretava un sentimento rozzo, semplicistico, volgare finché si vuole, però di insopportabilità per dirigenti troppo antichi, troppo sicuri di sé, troppo arroganti, del genere “Ragazzo, lasciami lavorare”. Il segretario del Pd si è preso il ruolo del federatore, quello che al “carisma antepone la sicurezza”. Non ha avuto paura della sfida lanciata da Renzi nonostante il parere contrario di molta parte del suo gruppo dirigente. Sostenetemi perché sono “l’usato sicuro”. Peccato che il colpo d’ala, l’immaginifico “tacchino sul tetto” al quale anteponeva il passerotto stretto in mano, si è rivelato un errore di traduzione. 

Quanto a Nichi Vendola, la sua invocazione del “profumo di sinistra” si è gemellata a un punto di vista contro l’agenda Monti mentre Bruno Tabacci, quello che sembrava muoversi meglio tra cifre e leggi, ha rivendicato voti “non per me ma per il nostro progetto”. Niente grilli per la testa di Laura Puppato che è arrivata a citare Tina Anselmi e Nilde Iotti per il suo personale Pantheon.

Alla fine, nel duello Bersani-Renzi, i punti di distacco tra i due sono stati ventiquattro. Renzi ha preso il 38% di voti da “rottamatore” degli “antipatici” (con i baffi); della vecchia cultura del Pci e della sinistra Dc; dell’immobilismo del sindacato. Però non è riuscito a scrollarsi di dosso – così ha detto – il ruolo del “ragazzetto ambizioso”. Bersani ha tenuto insieme. Sostanzialmente, i “magnifici cinque” che hanno partecipato alle primarie del centrosinistra, compresi i duellanti del ballottaggio, si sono comportati senza particolari guizzi e fantasie. D’altronde, dovevano rassicurare, modificare (“un pochino” secondo Bersani) la situazione sociale, economica, senza particolari scossoni e cambiamenti. Diciamo che nessuno ha indicato un obiettivo capace di rispondere alla crisi provocando mutamento. Nella vita delle persone, uomini e donne. 

A proposito di donne, alcune mie amiche hanno votato Puppato che ha preso meno del 3 %. “E’ stata una lotta ad armi impari” ha spiegato l’ex sindaca di Montebelluna. Le mie amiche si sono dichiarate d’accordo. Se ne deve dedurre che la rappresentanza è buona cosa  anche se sei sicura di perdere?

 

 

 

 

 

 

 

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