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Microcritiche/La vita è un long playing

26 Novembre 2012
di Monica Luongo

Solitamente chi lascia il proprio luogo di origine in gioventù (per studiare, lavorare, costruire relazioni o altro) raramente torna indietro. I motivi sono numerosi e complessi e crescono se il luogo natìo è un piccolo paese di provincia. Francesca, la protagonista del romanzo di Giovanna Grignaffini “Però un paese ci vuole. Storia di nebbie e contentezza” (La Lepre Edizioni, 398 pagine, 18 euro, disponibile anche in ebook) è nata a Fontanellato e da lì si è spostata a Bologna per studiare e poi a Milano e poi sempre in giro, visto che fa la critica d’arte. Come lei, nello stesso periodo (il Sessantotto e il decennio seguente), l’hanno fatto in molti ma non tutti.

Così in piena estate (tra cosce e zanzare direbbe Ligabue, cantore della bassa), Francesca torna a casa per le vacanze, chiamiamole così perché i motivi sono molto più numerosi del puro “descanso”. Il filo del passato della protagonista e degli amici ritrovati (quelli che non se ne sono mai andati) è scandito dalle parole delle canzoni che hanno accompagnato e ancora accompagnano tutti loro: i Doors e Caterina Caselli, i Talking Heads e Jim Morrison. Non si tratta della nostalgica memoria dei tempi del long playing, ma di una vita, dell’impegno politico, della filosofia del gruppo che faceva sua la musica e testimonianza le parole. Tanto vero che parlano per strofe e versi, che se non si è proprio preparati e memori a volte si fa fatica a ricordare le parole di tutti i brani citati.

A Fontanellato Francesca va a stare da una zia (con la madre non c’è buon sangue) e ritrova il gruppo ristretto dei sodali che si incontrano in piazza a mezzodì e alla notte girano intorno alla rocca o vanno a fare il bagno nello stagno, o girano per trattorie. C’è Carlo, il biliotecario filosofo, Silvia che non ha finito di studiare e si scopre incinta, Franco, il più giovane (con il quale Francesca imbastisce subito una relazione). Ma gli intrecci sono più complessi di come potrebbero essere descritti qui, perché non è solo attrazione quella che c’è tra loro, ma un tentativo di tutti di ripensare al passato chiedendosi quale tracce siano rimaste nell’oggi in ognuno di loro: chi se n’è andato perché è scappato (Francesca dalla sua mamma), chi è rimasto perché l’ha ritenuto più eroico, chi cambia spesso idea (Silvia). L’importante è stare insieme, giorno e notte nell’afa che opprime, anche per cercare di svelare il mistero delle buste gialle senza contenuto che Francesca riceve da ogni luogo in cui si reca per lavoro e non, e di cui non si riesce a rintracciare il mittente.

Il romanzo, che solo nelle ultime pagine prende un risvolto a sorpresa, scorre come una lunga disamina di quello che sono stati e sono diventati i baby boomers di quegli anni, della coraggiosa capacità che hanno avuto donne (e poi anche uomini) di mettersi in discussione di fare del privato il pubblico e viceversa, di dire i sentimenti e tracimarli anche nella politica; di dire dei propri fallimenti e anche della sconfitta, quando questa si fa troppo amara. Rigorosamente a suon di musica.

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