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relazioni politiche, dal quartiere al mondo

Ricette anticrisi: ma io che posso fare?

27 Luglio 2012
di Letizia Paolozzi

Ma guarda! C’è uno spread generato dalla speculazione: le agenzie di valutazione ci penalizzano “ingiustamente” (così il premier Monti). Va a finire che ha ragione la procura di Trani che persegue come menzogne dolose i giudizi delle agenzie.

Menzogne dolose dal momento che molti dei sussulti del circuito finanziario pare dipendano da sussurri e grida del tipo: Voteremo a ottobre, novembre? Abbandoneremo o no il Porcellum? Le agenzie, poverette, implorano di essere rassicurate.

Chissà se “la flemma” degli italiani ci riesce. L’ha scritto Giuseppe De Rita (sul “Corriere della Sera” del 27 luglio): nonostante i media e le cancellerie europee “preferiscono il sangue subito alla tenuta del tempo lungo” gli italiani sono in grado di sdrammatizzare con il loro “silenzioso orgoglio”.

Ma basta per contrastare la crisi che azzanna migliaia di uomini e donne? La flemma eviterà lo scorrere del sangue (che è sempre una buona cosa) e tuttavia dove troviamo la forza per cambiare? L’idea che i mercati si autoregolino è stata un disastro. La remunerazione dei dirigenti delle grandi banche ha rappresentato una ingiustizia non solo  socialmente (visto e considerato le perdite causate dagli errori di quegli stessi dirigenti) ma eticamente.

Chiamatelo “pensiero unico” oppure neoliberismo, certo, ha svuotato il tempo. Gli ha tolto senso. La rabbia contro la casta, l’attivismo delle procure, non bastano alla “tenuta del tempo lungo”.

Ci sono i progetti, pur interessanti, di imprenditoria sociale (Renzo Rosso, fondatore di Diesel, agisce con il microcredito per famiglie e commercianti colpiti dal terremoto in Emilia). E gli appelli di economisti, sociologi (tra gli altri Luciano Gallino, Guido Rossi), gli articoli di Guido Viale (sul “Manifesto”), le discussioni sui beni comuni, l’invocazione di un ritorno a Keynes che cercano delle risposte.

Ma non mi dicono cosa posso fare io, cosa possiamo fare noi: uomini e donne insieme.

Le donne invece qualche idea ce l’hanno. Della loro capacità di tenere assieme rapporti, sessi, generazioni, esistenze, hanno fatto una leva di cambiamento. Una politica. Un lavoro immateriale ma egemonico perché  contemporaneamente lavoro e cura della vita (ne scrive qui Alberto Leiss).

So bene che della cura molti e molte vedono solo la faccia in ombra, quella dello sfruttamento femminile. Sfruttamento che sicuramente c’è ed è enorme. Se però restiamo aggrappati alla sua versione misera, sarà impossibile combinare diversamente i tempi di lavoro e di vita.

E se insistiamo nel pensare alla democrazia (politica, sindacale, giuridica, delegata, diretta o partecipata che sia) quasi che ad abitarla ci sia soltanto il sesso maschile, la cura del vivere non avrà alcun valore. Almeno agli occhi di tanti (e tante) che pure cercano vie d’uscita dalla crisi.

La difficoltà, scriveva appunto Keynes, non sta “nelle idee nuove, ma nell’evadere dalle idee vecchie”. Temo che l’economista abbia ragione ancora oggi.

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