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relazioni politiche, dal quartiere al mondo

Genova, 6 donne su 11 con Doria

31 Maggio 2012
di Silvia Neonato

Nella giunta appena nominata dal sindaco di Genova Marco Doria ci sono sei donne su 11 componenti. Doria è andato oltre la promessa di chiamare nella sua giunta il 50 per cento di donne, come aveva detto già l’8 marzo a Snoq e poi ribadito molte volte, anche nell’incontro della Rete di donne per la politica, un insieme di associazioni e singole che gli hanno offerto sostegno prima delle elezioni, chiedendolgli però in cambio, tra le altre cose, di valorizzare la presenza femminile non solo con il 50 e 50, ma anche chiamando le donne in posti di peso, comprese le aziende municipalizzate.

Ecco la nuova giunta, composta per la maggior parte da studiosi e professionisti non indicati dai partiti. Solo Miceli, che resta alle Finanze, era nella precedente giunta con la sindaca Marta Vincenzi.

Mobilità e traffico: Anna Maria Dagnino; Scuole, sport, politiche giovanili: Pino Boero; Politiche della casa: Renata Daneri; Legalità e diritti: Elena Fiorini; Urbanistica e Vice Sindaco: Stefano Bernini; Lavori Pubblici: Gianni Crivello; Cultura e turismo: Carla Sibilla; Sviluppo economico: Francesco Oddone; Ambiente: Valeria Garotta; Finanze: Franco Miceli; Personale: Isabella Lanzone.

Doria ha le deleghe a istituzioni, avvocatura, comunicazione, partecipazione, politiche Ue.

Silvia Neonato aveva scritto nei giorni scorsi questa lettera al sindaco Doria, pubblicata in una versione un po’ ridotta dal Secolo XIX.

Caro sindaco,

tra le tante questioni che le stanno a cuore, sento con piacere – sono una cittadina – che il punto “donne in giunta” l’appassiona particolarmente. Ma le pressioni, le aspettative, le paure di deludere sono tante e non vorrei che la quantità di donne da mettere in giunta diventasse per lei un assillo tormentoso, invece che il semplice riconoscimento delle competenze femminili sparse per Genova: le numerose candidate a questa tornata elettorale, un vero record, hanno mostrato quante sono pronte a dare il loro contributo, malgrado la politica non se la passi bene e quante vogliono lavorare con lei.

Insomma, anche se nessuna legge glielo impone, mettere molte donne al governo della città, possibilmente il 50 per cento, nell’anno 2012 mi pare un liberatorio atto di democrazia paritaria. Con una certa presunzione, mi permetto di farle notare alcune cose. Prima di tutto, signor sindaco, invece che fissarsi sui numeri – 6 donne su 12-  scelga tra le tante competenti che si trovano in città e le metta al lavoro nel loro campo, nel settore in cui hanno già mostrato le proprie capacità. (Questo punto vale anche per i maschi, ovviamente). Secondo, le collochi anche in incarichi di peso, che so, lo sviluppo produttivo, l’urbanistica, il commercio, le finanze, il turismo. Terzo, una volta installate al loro posto, le difenda. Subiranno più attacchi e critiche dei colleghi uomini perché, come sappiamo, c’è sempre qualcuno al mondo che ti ricorda che hai voluto la bicicletta e dunque devi pedalare più veloce di quelli che la bicicletta se la sono trovate già tra le gambe. Quarto, faccia una piccola rivoluzione: tenga per sé o per il vicesindaco le Pari opportunità. Sarebbe una gran bella cosa infatti se le politiche di pari opportunità potessero influenzare ogni  scelta del futuro consiglio comunale, tenendo conto che vanno ridistribuite tra chiunque non si trovi in condizioni  paritarie, sia esso un anziano trascurato, un gay licenziato per la sua scelta sessuale o una lavoratrice che non sa a chi affidare il proprio figlio.

Non voglio assolutamente dire che i numeri non sono importanti, si figuri, da anni aspettiamo il riconoscimento di tante donne in gamba, mentre si promuovono uomini spesso mediocri per questioni di potere, di abitudine e di misoginia bella e buona. Essere la metà della popolazione e vedersi finalmente rappresentate sarebbe una meraviglia e una vicesindaca farebbe una bella impressione accanto a lei. Ma signor sindaco, visto che l’attuale crisi della politica la costringe a fare piazza pulita degli assessori precedenti, dei nominati dai partiti, dei troppo vecchi e di chissà quanti altri ancora – anche quando sono capaci ma magari migranti- non si irrigidisca sulle quote di genere. (E per favore non le chiami rosa, non si parla di  fatine né di confetti).

Noi sappiamo, nel 2012, di essere richieste anche in politica e nella gestione della cosa pubblica. Noi tutti, e anche le sue figlie per loro fortuna, vediamo l’ex ministra francese dell’economia Christine Lagarde dirigere il Fondo monetario internazionale, Susanna Camusso a capo del più forte sindacato italiano, la premier danese Helle Thorning Scmidt essere il presidente di turno dell’Unione europea, la premier Angela Merkel fare il buono e cattivo tempo in Europa… Per non dire di Emma Marcegaglia, le tre ministre di peso del governo Monti e tante altre. Naturalmente non tutti sono d’accordo sul loro operato, ma la loro autorevolezza è indiscutibile.

Insomma non abbiamo bisogno di legittimazione, forti come siamo di molte donne di valore (e non voglio dimenticare i tanti uomini capaci). Al proposito le segnalo uno studio che forse la aiuterà in questa temperie. Due docenti della Bocconi, Paola Profeta e Alessandra Casarico, hanno esaminato 8100 comuni italiani negli anni Novanta, quando era in vigore la legge, poi dichiarata anticostituzionale (e tuttora in attesa di essere riformulata dal nostro parlamento) che stabiliva che nelle liste elettorali nessun genere potesse superare l’altro per più di due terzi. Ebbene, questo studio ha rilevato che le candidate avevano titoli di studio più alti e curriculum più interessanti dei loro colleghi. E questo è noto, dobbiamo sempre esibire più certificati. La novità è un’altra: i maschi rimasti in lista, dice lo studio, venivano selezionati a loro volta con più severità e attenzione al merito che in precedenza (cfr. la rivista “Leggendaria”, n 92, 2012).

Il che significa, in breve, che le donne scese in campo hanno quasi sempre titoli più alti dei maschi, ma che poi tutti i candidati sono costretti a allinearsi a un livello più alto. E questo non può che migliorare la politica e, spero, la nostra vita.

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