Reale / Virtuale

informazioni, deformazioni, spettacoli, culture

Io sono molte. L’invenzione delle personagge

10 Novembre 2011
anticipazione da Leggendaria n.90 Lettrici&Personagge
di Bia Sarasini

 

Me lo ricordo bene, quando abbiamo scelto le personagge. E so chi l’ha proposta, questa parola che chissà perché suona bizzarra e insieme puntigliosa, come di chi tiene moltissimo ai dettagli. Era poco meno di tre anni fa, il neoeletto direttivo – ora al termine del suo mandato – della Società delle Letterate era alla ricerca di un tema di approfondimento da proporre a tutta l’associazione, come un fil rouge che tenesse insieme uno spazio di pensieri condivisi. «Perché non ci occupiamo delle personagge?» ha tagliato corto Maria Vittoria Tessitore. Ecco, non sono mancate espressioni stupefatte e sopraccigli alzati, di fronte a questa sorprendente parola. Eppure, una volta nominate, le personagge si sono imposte con la forza di un’idea semplice e necessaria. Chi sono le figure femminili delle narrazioni contemporanee? Quali le loro caratteristiche? E se questa è la traccia del tema elaborato nel tempo, la parola, personaggia, ha trovato spazio subito, per propria virtù. Provate a passare almeno mezzora a discutere di “personaggi femminili”, di “donne-personaggio”, di “personaggi-donna”, insomma di tutto quello che può venire in mente per non mettere in discussione il preteso neutro di una parola di cui non si è mai pensato il femminile. È una tale noia, un tale fastidio ripetere in continuazione sinonimi, varianti, castelli di parole che si ammucchiano l’una sull’altra, che personaggia è diventata la parola amica, facile, che rendeva scorrevoli i nostri ragionamenti. E non si tratta certo di un dettaglio, dire nella forma più chiara di che genere sia – abbia scelto di essere, attraverso quale genere transita – il personaggio di cui si parla – in un romanzo, una piéce teatrale, un film, un serial tv, una perfomance, una poesia.

Ma chi sono, le personagge contemporanee? La ricerca, lo esprime il titolo del convegno Io sono molte. L’Invenzione delle personagge che si tiene a Genova dal 18 al 20 novembre, ha portato alla luce figure multiple, costruite con elementi multiformi, insomma – ma sì diciamolo – poli-segnici, polisemici. Per esempio, Lisbeth Liskander, la protagonista della trilogia Millenium, di Stieg Larsson, che personaggia è? È evidente che si tratta di una figura del transito, non collocabile in un genere definito. Piccola di statura, minuta, sottile, eppure dotata di una forza indomabile, ama le donne, ma anche gli uomini, di cui in ogni caso diffida. Genio informatico – e non solo – per la società è una disabile, una minorata psichica da tenere sotto tutela. Lisbeth è una solitaria, una che vive ai margini della vita sociale, i suoi molti talenti la rendono capace di cavarsela, è chiaro che il primo obiettivo è: non fare sapere nulla di sé a nessuno, non dipendere da nessuno. Non per sopravvivere, ma soprattutto non negli affetti. Vittima, e prima di lei sua madre, dei più terribili soprusi che una donna possa subire dal mondo degli uomini, agisce la rabbia e si vendica in modo grandioso. Ora, nella semplificazione propria della narrativa popolare, non sfugge che l’autore di questa personaggia sia un uomo, proprio come è stato Quentin Tarantino a raccontare Beatrix Kiddo, la vendicatrice di Kill Bill. Fa parte della costruzione della personaggia, il genere dell’autore. Ma qualunque cosa si pensi della punizione di uomini per mano di donna che propone l’autore di Uomini che odiano le donne, è evidente che le lettrici, le spettatrici amano Lisbeth. Mentre non si può amare Erika Kohur, la protagonista de La pianista, di Elfriede Jelineck, preferibilmente la si odia, o al più le si concede un sentimento intermedio tra lo sgomento e la profonda compassione. Erika è coltivata, educata, è un’artista, è una creatura in mano a sua madre. Della società, delle sue leggi, è una schiava, la rabbia che la anima non si manifesta fuori di sé, piuttosto la consuma e la divora. E non suoni spericolato l’accostamento tra queste personagge dalle origini così diverse, la bassa cucina del best-seller per Lisbeth, l’aristocrazia della letteratura d’avanguardia per Erika. Entrambe sono state oggetto di ricerca in recenti seminari della Sil: Lisbeth in Gelido Giallo a Frascati, Erika in Scansioni irregolari a Firenze. Con tutte le opportune accortezze metodologiche, il campo della ricerca non ha confini. Come accorgersi altrimenti che i lati oscuri di una personaggia sono esattamente ciò che l’autrice/l’autore vuole mettere in scena? E che invece di distruggerla ai nostri occhi, ne sono i punti di forza?

Certo, per proseguire in questi ragionamenti, bisognerebbe sapere chi sono i personaggi, per autori e autrici, cioè per chi li inventa. Se sono creature che provengono dalla vita interiore, dai fantasmi dell’inconscio di chi scrive, di chi inventa, qualunque sia il linguaggio, la scrittura usata, la loro speciale forza è che entrano nel cuore, nella mente di chi legge, guarda, ascolta. A volte vivono una propria vita, indipendente, a prescindere da qualunque progetto d’autrice, o autore. Emma Bovary, ne è una prova lampante, è l’esempio di una donna immaginaria che diventa un tipo ideale, definisce un comportamento. Ma anche Jo e le sue sorelle, le Piccole Donne hanno una loro esistenza del tutto indipendente dal romanzo di Louisa May Alcott, costituiscono il riferimento di una infinita serie di trame che hanno al centro le relazioni femminili, comprese le quattro amiche di Sex and The city. E di chi è Holly Goolyte, la prostituta estroversa e tenera di Colazione da Tiffany: della sua interprete Audrey Herpburn, del regista Blake Edwards, o dell’autore del romanzo Truman Capote? O di lettrici/lettori, di spettatrici/spettatori che ne custodiscono le parole e/o le immagini, una specie di guida interiore per inventarsi un proprio mondo? O ancora, facendo salti e capriole, chi è L’Iguana, di Anna Maria Ortese? Quali mutazioni ci testimonia, quali passaggi impercettibili e definitivi, sono racchiusi nella grazia inimitabile di questa meravigliosa personaggia?

«I personaggi convincenti si esibiscono in modo diverso davanti a pubblici diversi, in situazioni critiche dalle diverse sfumature, Li conosciamo attraverso le loro strategie mutevoli, spesso meglio di quanto si conoscano loro stessi». Questa citazione da un preteso manuale di scrittura si trova in Generosity, un romanzo recente dello statunitense Richard Powers. Complesso, sperimentale, ma per niente oscuro, Powers costruisce un metaromanzo. Al centro della scena un autore alle prese con i suoi personaggi, con le loro motivazioni, la vita che gli si può attribuire, passando attraverso le vicissitudini di uno scrittore che non riesce più a scrivere, da quando si è reso conto che i suoi libri interagiscono con la vita vera, e per questo si limita a insegnare a scrivere. Alle prese con Thassa, detta Generosity, la ragazza algerina che nonostante le tragedie della sua vita è capace di sorridere, di essere felice in modo contagioso, e per questo diventa un caso clinico internazionale. Che cosa posso fare di lei, con lei? si chiede, e non fa mai dimenticare a chi legge che si sta chiedendo, Powers, l’autore. La personaggia, sembra rispondere, lo porta altrove, dove non avrebbe mai pensato di andare: «È per questi odori che sono venuto qui, da solo. E, per una volta, sono pronto a sperimentare ciò che il racconto mi permette. Che cosa posso fare per lei, se non sfidare il mio tipo? La felicità, dice lo scienziato, non è una ricompensa per la virtù. La felicità è la virtù. Lei mi guarda. Ha sempre saputo che sarebbe finita così, che l’avrei seguita in questo successivo posto nuovo». Seguire la personaggia, andare nei luoghi nuovi in cui lei porta chi la guarda e la osserva. Se è vero che i romanzi da sempre sono scritti per le donne, quali luoghi, quali mondi mettono al mondo le personagge che le scrittrici, gli scrittori costruiscono?

Ci vuole coraggio, per seguire le personagge là dove sono adesso. Raccontano di problemi, transizioni, esperimenti, cambiamenti. Perché Modesta, la protagonista dell’Arte della gioia di Goliarda Sapienza, attrae almeno quanto inquieta? Perché la libertà che si concede è così illimitata da essere pericolosa? Perché Bonaria, la protagonista dell’ Accabadora di Michela Murgia più che di un passato arcaico sembra parlare di un presente tutto da interpretare? Guardare le figure di donna dell’immaginario così come si accampano nella mente di autrici, autore; guardare la forma che prendono, la vita che si prendono: è, mi sembra, una proposta critica ampia, di largo respiro. Una proposta politica, mi prendo la libertà di sostenere. Se il mondo reale è abitato da figure di donna che irritano e inquietano, forse è nelle narrazioni che si trovano strumenti per cambiare, per mutarne il senso.

 

 

Il direttivo della Sil è composto da: Barbara Della Polla, Alina Narciso, Silvia Neonato, Pina Mandolfo, Gabriella Musetti, Rachele Muzio, Bia Sarasini (presidente), Nadia Setti, Maria Vittoria Tessitore, Maria Vinella. Dopo le dimissioni di Antonella Pilozzi, è stata eletta Roberta Mazzanti

Tags: , , , , ,

Featuring Recent Posts WordPress Widget development by YD