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relazioni politiche, dal quartiere al mondo

Le donne nella primavera marocchina

18 Settembre 2011
Pubblicato anche in Alfabeta2 n.12
di Letizia Paolozzi


«Molti cambiamenti, all’apparenza minori, sono già in atto: sempre più donne, lavorando, si rendono economicamente autonome, alcune si cimentano con progetti propri e l’indipendenza conquistata si ripercuote nelle relazioni famigliari, nei rapporti con i mariti…».

Succede nella «primavera marocchina». Mentre, in piena luce, seguite dai media di mezzo mondo, le manifestazioni del «Movimento 20 febbraio» riempiono le piazze, mentre è approvato il referendum sulle riforme indetto da Mohammed VI (che prevede l’instaurazione di una monarchia costituzionale) e mentre, tra la repressione di Bashar El Assad in Siria e il fallimento di uomini come l’egiziano Mubarak o il tunisino Ben Ali, si disegna in Marocco la possibilità di una “terza via”, una silenziosa scommessa va avanti da tempo.

Scommessa tenace, paziente. Che fa leva sull’agire femminile per erodere tradizioni, modelli culturali più rigidi, rapporti di autorità, dominio maschile nelle strutture famigliari.

Indebolire la prigione del patriarcato. Ci stanno provando da anni studiose dell’islam, mediche, professioniste, insegnanti, animatrici sociali. Della loro scommessa parlano nel libro Come la pioggia (edizione Una città che pubblica per abbonamento una rivista mensile in formato lenzuolo, bella e dichiaratamente «libertaria, cooperativista e internazionalista»).

«Molte donne non sanno calcolare il prezzo della merce, non sanno controllare il resto. Imparare a leggere e scrivere ha implicazioni straordinarie. Saper acquistare un biglietto dell’autobus vuol dire potersi muovere autonomamente» (Halima Oulami, fondatrice dell’associazione El Amane a Marrakech).

Uscire dall’analfabetismo vuol dire affrancarsi dallo stato di minorità in cui il mondo femminile è relegato. Relegato da chi? Dall’islam, spiegò Laura Bush che supponeva di poter strappare con le bombe il burqa alle afghane. «In realtà non è l’islam il responsabile della situazione della donna nelle nostre società arabe e musulmane, quanto piuttosto le tradizioni, le consuetudini, perlopiù di natura patriarcale, se non addirittura tribali, che si sono consolidate nel tempo creando questa sorta di “sovrastruttura” sugli insegnamenti dell’islam» (Aicha El Hajiami che si interessa all’esegesi del Corano ed è famosa per essere stata invitata nel 2004 dal re del Marocco Mohamed VI a tenere una lezione durante il Ramadam).

Aicha, interrogata da Luisa Muraro sulla rivista «Via Dogana» (del giugno 2005), tra i fattori del cambiamento nominava, appunto «la trasformazione della struttura familiare e dello statuto sociale e politico delle donne».

Anche Youssef Courbage e Emmanuel Todd nei loro studi demografici sui paesi musulmani (L’incontro delle civiltà uscito da Tropea nel 2009) sottolineano l’importanza di fenomeni come la diminuzione del tasso di fecondità e l’aumento dei livelli di alfabetizzazione che avrebbero preparato il terreno della «primavera araba». Un ruolo maschile meno dominante; l’allentamento della poligamia; il rifiuto o perlomeno la critica dello scioglimento unilaterale del vincolo coniugale non sono questioni da poco. Ma sommovimenti di grande importanza.

Naturalmente, su questi sommovimenti ha il suo peso la costruzione delle comunità sulla rete. E la globalizzazione. Eppure, senza il gesto di sottrazione femminile al controllo dell’uomo, non si produrrebbero. Certo, il percorso non è mai pacifico. Molti uomini, molte donne, giovani e meno giovani, restano aggrappate alle regole patriarcali. «Non bastano le norme giuridiche, sia pure molto buone, per cambiare le cose» (ancora Aicha El Hajiami).

Per esempio, la Mudawana, il nuovo Codice di famiglia marocchino, ha incontrato ostacoli imprevisti. Prendiamo il matrimonio, vietato dalla legge, con una minorenne. Il giudice sempre più spesso si vede costretto a concedere una deroga nel caso di una ragazzina in stato di estrema povertà: per lei, la prospettiva di sposarsi rappresenta l’unica chance e una reale forma di protezione. «Un giorno o l’altro nostra figlia potrebbe essere violentata; potrebbe avere un figlio illegittimo. Se le accadesse una disgrazia, ne sarà responsabile di fronte a Dio», i genitori minacciano.

In questa situazione, la libraia di Marrakech, Jamila Hassoune ha deciso di puntare «sulla sete di sapere e di conoscenza» dei giovani (in Marocco più del 70%). Macchina scassata, carico prezioso da distribuire nelle campagne dove i libri «sono rari come la pioggia», incontri negli internet caffè: laboratori di relazioni nuove e diverse dove, per la prima volta, le famiglie permettono alle figlie di incontrare i ragazzi.

I vecchi regimi, gli autocrati al potere da decenni, stanno scomparendo. Il muro della paura è caduto. La parola si è liberata. Eppure, scalzare i modelli patriarcali significa costruire un altro sguardo e un’altra prospettiva. Non accade da un giorno all’altro.

Sulla rete gira un racconto: Mohamed Bouazizi, l’eroe della rivoluzione tunisina «dei gelsomini», si sarebbe suicidato dopo l’ennesima umiliazione subita dai poliziotti: da una donna-poliziotta, Fedia Hamdi. All’ingiunzione di usare per la bilancia dei pesi a norma, avrebbe risposto: «Mettici le tue tette». Schiaffeggiato, Bouazizi si è dato fuoco davanti al municipio. Fedia Hamdi, arrestata, viene liberata dopo che la madre di Bouazizi ha ritirato la denuncia.

Al Cairo, ad annunciare sulla rete l’inizio della «primavera» di piazza Tahrir sarà la ventiseienne Asma Mahfouz. L’8 marzo, sempre in piazza Tahrir, femministe maltrattate, arrestate, costrette a subire il test di verginità. Il generale al Sisi, membro della giunta militare ammette che «i test sono stati eseguiti per proteggere l’esercito da possibili denunce di stupro».

A maggio poi arriva la proposta della nuova amministrazione della radio e della televisione di bandire «il bacio» dal piccolo schermo. Transizione tradita?

Non lo sappiamo. Certo, in un universo disorientato, sballottato tra vecchie tradizioni e nuove tecnologie, resta molto lavoro da fare. Il primato maschile non finisce con una riforma dall’alto. Non lo abbatte una manifestazione. O twitter. Servono invece «cambiamenti all’apparenza minori» perché lo statuto delle donne ha dei tempi che forse non coincidono con quelli della «primavera araba».

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