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relazioni politiche, dal quartiere al mondo

Questioni morali, questioni politiche

15 Agosto 2011
di Alberto Leiss

 

 

Strani giorni di agosto.

Anche se non abbiamo capitali in Borsa, spiamo con apprensione aperture e chiusure delle piazze finanziarie globali. Il capitalismo si presenta come un personaggio  imprevedibile e nevrotico.

Perché si comporta così?

Come può essere possibile che la reputazione degli Stati Uniti – e in un certo senso di tutti noi – dipenda dalle valutazioni di una agenzia privata?

Chi decide davvero le sorti del mondo? Un gruppo di speculatori ultramiliardari? I gerarchi del partito comunista cinese, unico potere politico che sembra ancora dotato di una qualche capacità di controllo sull’economia?

Esperti e commentatori scrivono ogni giorno tutto e il contrario di tutto.

Attacchi all’Italia da misteriose centrali tedesche. Ma no, i giudizi dei “mercati” sono giusti e fondati, anzi sacrosanti: chi si fiderebbe più di gente come Berlusconi, Bossi e Tremonti e della loro inconsistente politica economica?

Meno male che sono stati “commissariati”. Dai banchieri Trichet e Draghi, e da un direttorio Merkel-Sarkozy, forse con lo zampino persino di Obama.

Ora abbiamo una “manovra” più dura che però non piace a nessuno (la apprezzeranno almeno i “mercati”?) e il cuore del premier “gronda sangue”.

C’è una morale in questa storia?

Fino a non molti giorni fa sembrava che l’emergenza, in Italia, fosse la diffusione del malaffare e del malcostume nel ceto politico. I giornali si erano riempiti di commenti sulla “questione morale” denunciata trent’anni fa da Enrico Berlinguer in una famosa intervista a Eugenio Scalfari. Un’intervista che divide ancora a sinistra.  E non solo.

Berlinguer vide la degenerazione del potere pervasivo dei partiti (di governo). Una analisi spietata, attualissima di fronte agli odierni scandali di corruzione, affarismo, “piduismo” redivivo.

Ma resta irrisolto il problema di che cosa possa essere una “diversità” meno immorale in politica.

Ciò che mi ha colpito, però, è la sensazione che la politica italiana resti inchiodata a un linguaggio di 30 anni fa. E’ come se la fine della “prima repubblica”, il crollo del muro, la scomparsa dei vecchi partiti, avessero creato un vuoto che nessuno sa riempire con parole attuali.

Le parole che in poco tempo ci hanno aggredito hanno ora un suono tecnicamente esoterico, e minaccioso: downgrading, default.

Il nostro stato, mentre sventola ancora il tricolore del 150°, rischia di essere degradato sul campo e di fallire come un pizzicagnolo qualunque.

Ma che succederebbe a tutti noi se fallisse lo stato? Chi lo sa…

La più grave “questione morale” odierna mi pare il fatto che la politica dei partiti, né a destra, e nemmeno a sinistra, sappia indicare un’altra idea di società dopo i fallimenti del socialismo/comunismo e di fronte a quelli del capitalismo,  nella versione ultraliberista dell’ultimo trentennio.

Forse hanno ragione donne e uomini che – lo si è intravisto con la vittoria dei referendum – si danno da fare per cambiare qui e subito comportamenti, stili di vita, consumi, qualità delle relazioni.  Una via che vuole combattere la signoria assoluta del mercato e dei suoi spiriti animali egoistici senza restaurare nuove oppressioni statali.

Forse bisogna meditare meglio anche sui “successi” di una globalizzazione capitalistica di cui oggi le grandi vittime sono i paesi più ricchi e sviluppati: Usa, Europa, Giappone. Il Sole 24 ore del 14 agosto ha pubblicato due istruttive pagine di dati, dalle quali si evince che negli ultimi dieci anni tutto il resto del mondo ha invece conosciuto un “grande balzo in avanti”, almeno nei termini dello sviluppo economico per come viene oggi calcolato (aumento del Pil, degli indici di Borsa, espansione delle “Corporation” non occidentali).

Il sangue – quello vero, non quello virtual-spettacolare del cuore del Cavaliere – purtroppo gronda in tante parti del mondo. Ma è un mondo sempre più sottosopra. Prima di tutto dobbiamo capirlo.

 

 

 

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