Locale / Globale

relazioni politiche, dal quartiere al mondo

La rivolta di Londra e le lacrime del capitale

19 Agosto 2011
di Letizia Paolozzi

 

Chi lo capisce questo mondo?

In dieci giorni succede – tra l’altro – che cospicui gruppi di “barbari”, “facinorosi” “criminali”, “gang di violenti” (così definiti secondo i media, i politici, il premier Cameron) mettano a ferro e a fuoco negozi di elettronica, afferrino iPod, felpe se possibile griffate.

Incursioni nei magazzini della Sony, Foot Locker e MacDonald.  Gioiellerie dei pakistani a Londra, Bristol, Manchester messe a ferro e fuoco.

Lavoro, futuro, ideologia, conflitto, profitto, lotta di classe, tagli imposti dal governo conservatore, vengono tirati in ballo dai commentatori più volenterosi non dai “vandali”. Mancano le motivazioni sociali esplicite. Idee precise sì, intorno a oggetti socialmente invidiabili.

Lettura  complicata. Come guardare le nuvole e uno ci vede una montagna, un altro un profilo di giraffa.

Così per le razzie: immaginate quanto devono essere stati contenti con questo gioco, sottolinea  lo storico Donald Sassoon sul “Sole 24 Ore”. Il filo rosso Toni Negri lo rintraccia nella “primavera araba” e negli “indignados” di Puerta del Sol. Alessandro Dal Lago nei riots di Los Angeles del ’92 (ma poteva trattarsi del black out di New York del ’77) e poi nei roghi delle banlieue parigine del ’95. E perché non citare “The Warriors”, il film di Walter Hill con la domanda iniziale: “Guerrieri, giochiamo a fare la guerra?”

Adesso la guerra è per i consumi. I consumi sono in vendita oppure te li porti via.

Sospensione delle partite di calcio. Il governo ci va giù duro. Con le facce dei razziatori appiccicate sui lati di un camioncino che gira per le strade di Birmingham. Invito ai cittadini: partecipate tutti a “Chi l’ha visto”.

Di femmine nelle sommosse se ne contano poche. Partecipa, sembra, una ballerina di danza classica. Quattro anni di carcere a chi ha invitato su internet alla ribellione.

Intanto la borsa è in agitazione. Turbolenze, crisi, crolli mondiali: peggio del ’29?

Bisogna tagliare di qua e di là. Pensioni, cultura, ricerca, sicurezza sociale. Le società di rating hanno sempre ragione. Guarda caso, i super ricchi diventano tali grazie alla speculazione. D’altronde, il lavoro (artigianale, industriale) non conta più. Il potere è finanziario e i mutamenti riguardano l’ultimo modello di touch screen.

Warren Buffett, il miliardario americano terzo uomo più ricco del mondo, attacca il governo Usa (sul “New York Times”): Che ne è del “sacrificio condiviso”? Tassatemi di più, io posso dare di più. Alzate le tasse, colpiteci, non risparmiate noi privilegiati.

Buffett, azionista di Moody’s, si ribella a Standard & Poor’s che ha tolto la “tripla A” agli Stati Uniti. Lui è il primo azionista dell’agenzia di rating rivale di S&P.

Luca Cordero di Montezemolo chiede un’imposta una tantum (la patrimoniale sui più ricchi) che nemmeno Bersani ha il coraggio di tirare fuori dal cappello.

Intanto, George Soros, ottuagenario, filantropo, per la depenalizzazione della cannabis, mostra il suo lato schizofrenico. Da un lato si dichiara d’accordo con Buffett: tassiamo le grandi fortune, tra le quali la mia. Dall’altro sembra aver vinto una altissima scommessa: l’America ha perso la tripla A del rating.

E noi a ballare in questo mondo strano abitato dai “teppisti” e bagnato dalle lacrime dei capitalisti. Ve lo aspettavate che anche i ricchi vogliono piangere?

 

 

Featuring Recent Posts WordPress Widget development by YD